| La Grande Città sul mare era pronta ad accogliere i più potenti Re e Sovrani, grandi bastioni venivano eretti per proteggerli durante l’incontro in cui avrebbero deciso destini e futuro del mondo. Insieme a loro giungeva anche un ragazzo minuto, un Piccolo Poeta dal cuore grande grande e pieno di giustizia; aveva visto pochi giorni prima in televisione le immagini di un bambino dalla pelle scura, con la pancia gonfia, circondato dalle mosche. Quegli insetti lo tormentavano, gli camminavano sul viso, gli andavano negli occhi. Gli entravano persino in bocca, senza dargli pace. Il Piccolo Poeta rimase colpito e decise di parlare con i Re, voleva convincerli a mandare via le mosche da quel bambino. Era molto determinato e risoluto quando partì per la Grande Città ma vi trovò tanti fanti e gendarmi. Erano le guardie dei potenti. Lo cacciarono via, “cosa vuoi tu dai Re, straccione?” e lo spinsero via con la forza. Il Piccolo Poeta però non si perse d’animo, provò a raccontare a quei gendarmi del bambino, sperando di commuoverli, ma essi continuarono a non dargli ascolto. “Vai via, tornatene a casa tua!”, urlavano da dietro le armature e gli scudi. Il ragazzo si mise a urlare, pensò che forse così avrebbero sentito la sua voce, “perché non andate a togliere le mosche dalla bocca di quel bambino, non vedete quanto è triste e sconsolato? non provate anche voi pietà per lui?”. I gendarmi serrarono le fila, sguainarono le spade e presero posizione con gli archibugi ma il Piccolo Poeta non si spaventò. Continuò a urlare, sempre più forte, con la gola bruciata dalla nebbia in cui si mimetizzavano i fanti… nessuno lo ascoltava e si arrabbiò, si arrabbiò a tal punto da riuscire a sollevare un grosso sasso, talmente grande che quasi poteva schiacciarlo sotto il suo peso. Fece per scagliarlo contro i gendarmi e in quel momento un lampo accecò i suoi occhi. Il Piccolo Poeta sorrise, perché le mosche sul volto del bambino si erano trasformate in un volo di mille farfalle colorate…
Ciao Carlo.
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