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| CITAZIONE L'indagine del Dap: nessuna responsabilità. Altro colpo di scena dopo il reintegro dei medici Il pm: le accuse ai tre agenti restano in piedi. Dubbi sulla denuncia di un detenuto tunisino Cucchi, "assolte" le guardie penitenziarie La famiglia: "Grottesco. E' morto di vecchiaia?" di MARINO BISSO e CARLO PICOZZA
ROMA - Sulla morte di Stefano Cucchi, un'altra indagine interna si è conclusa con l'"assoluzione". Per il dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (Dap) non avrebbero colpe i tre agenti carcerari, accusati di omicidio preterintenzionale per aver pestato nelle celle del tribunale il trentunenne deceduto dopo una settimana con la schiena rotta, il corpo denutrito, disidratato e segnato da sospette bruciature di sigaretta.
Sarebbero "innocenti", per la Asl Roma B (che ha revocato per loro il provvedimento di trasferimento), anche i tre medici del Pertini, pure indagati dalla procura per omicidio colposo per non aver assicurato le cure adeguate a Cucchi che nella corsia carceraria ha perso un chilo al giorno.
"Senza macchie" anche i carabinieri che per primi avevano escluso, nella ricostruzione dei fatti, responsabilità dell'Arma che con i suoi uomini ha arrestato il giovane con pochi grammi di droga alle 23.30 del 15 ottobre e lo ha tenuto in custodia notturna nelle caserme Appio e Tor Sapienza (qui arrivò l'equipaggio di un'ambulanza che non visitò e neanche vide il giovane in viso per i suoi rifiuti e la poca luce che filtrava in cella dal corridoio). "Stefano", commenta con amarezza Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, "non può essere morto di vecchiaia in sei giorni".
Il Dap, in 73 pagine, ha raccolto le dichiarazioni di agenti, medici e dei familiari del giovane e le ha consegnate ieri ai pm Francesca Loi e Vincenzo Barba per i quali l'inchiesta non cambia orientamento. "Gli accertamenti" per il capo del Dap, Franco Ionta, "non hanno rilevato responsabilità della polizia penitenziaria". E sulla custodia di chi viene arrestato in flagranza di reato, sottolinea: "Sto pensando di ritirare il nostro personale dalle celle del tribunale".
"Medici e poliziotti penitenziari", commenta dall'associazione Antigone, il presidente Patrizio Gonnella, "per la Asl e per il Dap non avrebbero responsabilità: chi è stato allora a pestare Cucchi?". L'inchiesta va avanti: sono stati sentiti il detenuto tunisino che ha firmato la lettera di accusa ai carabinieri e l'assistente del senatore Stefano Pedica che l'ha consegnata ai pm. Gli inquirenti, che danno poco credito a quelle tre pagine, hanno accertato che non furono scritte dal tunisino, poco pratico della lingua, ma da un altro detenuto al quale il primo l'ha dettate.
È stato acquisito il registro di ingressi e uscite dalle celle del tribunale ed emergono già molte anomalie sugli orari e sull'andirivieni nel sotterraneo. Intanto ieri, il senatore Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla Sanità, ha reso noto che, con un ordine di servizio, il Dap obbliga gli agenti penitenziari a informare i medici dei reparti carcerari sulle richieste di colloquio dei familiari con i pazienti-detenuti.
Non dovrebbe insomma ripetersi più quanto accaduto ai genitori di Stefano, tenuti per giorni all'oscuro delle condizioni del giovane e informati crudelmente della sua morte solo con la notifica dell'esecuzione dell'autopsia. "Mi sembra un grande passo avanti", commenta Ilaria Cucchi sorella di Stefano, "spero che nessun'altra famiglia patisca quanto abbiamo patito noi".
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