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Bolzaneto, Prove di regime

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Terra & Libertà
view post Posted on 15/9/2008, 08:56




La torta al cioccolato
Quando mi hanno presa per un braccio. E' in quel momento che tutto ha avuto inizio. Una mano mi ha afferrata forte, poco sotto la spalla. In realtà non ho sentito vero dolore. Cioè, niente che poi abbia lasciato lividi, o graffi, un qualche arrossamento della pelle. Nessun segno, davvero. Però una sensazione precisa e strana. Qualcosa di buio. Un male profondo. Come l'alito d'una bestia crudele. Come una scossa elettrica. Come una puntura velenosa. E' cominciato esattamente allora, mi ricordo bene. Non un minuto prima. Non quando mi hanno legato le mani dietro la schiena. Neppure quando la poliziotta mi ha colpita con un pugno. Mi si è avvicinata e credevo sorridesse, ho pensato: finalmente, una donna. Lei capirà, mi porterà via. Invece le orecchie hanno cominciato a ronzare. Il sapore ferroso del sangue in bocca. Non è stato quando mi hanno portata via, in quell'auto senza sedili. La testa che sbatteva da una curva all'altra. L'aria che mancava. Ma non è stato allora. Posso giurarlo. Perché il male è arrivato dopo. Dopo, quando la macchina è arrivata a Bolzaneto. Dopo, quando mi hanno presa per un braccio.

Valérie Vie è stata la prima a violare la Zona Rossa. La prima ad essere arrestata. La prima a venire accompagnata nel carcere provvisorio genovese. Caserma Nino Bixio, Bolzaneto. Era in cucina, stava preparando una torta al cioccolato per i figli, guardava la televisione. Ha visto quelle grate assurde. E tre giorni più tardi, alle 15.30 di venerdì 20 luglio 2001, una mano l'afferra forte.

Qualcuno che mi prende, che mi trascina fuori dall'auto della polizia. Siamo arrivati, è chiaro. Attraverso i vetri ho intravisto un piazzale e quella che mi sembrava una piccola folla. Ero confusa, spaventata. Si è aperta la portiera. Quella sulla destra. E mi hanno afferrato. Era una splendida giornata di sole, il riverbero mi ha costretto a chiudere gli occhi. Non so quando sia durato, quanto dura di solito? Un paio di secondi. Uno, due. Buio. Luce. Intorno a me vedo solo uomini. Immobili. Come una folla dipinta in una piazza dipinta. In borghese, in divisa. Intorno alla macchina, sui gradini di un edificio poco lontano. Potrebbero essere cinquanta, o forse mille. Vorrei contarli ma non ci riesco. Mi guardano tutti, nessuno apre bocca. Non arrivano segnali e allora provo io a pensare, ad essere razionale. E quello che mi viene in mente è paradossale. Perché razionalmente vedo dei manichini. Quei guerrieri di terracotta cinesi, è chiaro di cosa sto parlando? Non umani. Senz'anima. E' una situazione assurda, mi dico. E la cosa più assurda è proprio quel silenzio. E' un film, è un palcoscenico, è una presa in giro? Perché quegli uomini mi guardano così? Scarto subito l'idea di essere diventata sorda.

Nelle orecchie mi è rimasta l'eco della portiera della macchina che si chiude. Vedo delle aiuole poco lontano, e con tutto quel sole per una frazione di secondo immagino di ascoltare le cicale. Magari il canto di un uccellino. Invece no. Solo il silenzio. Gli sguardi su di me. Manichini, statue. E quella mano che mi tiene stretta. Che si impadronisce di me. L'inquietudine arriva così, mi sembra di sentire addosso l'odore del pericolo. Io sento che sta per cominciare qualcosa di pericoloso.

Valérie non sa di essere il primo prigioniero del G8. Valérie non sa nulla. E' un alieno, per tutti quegli agenti che l'attendevano. E che ora la scrutano, l'annusano. Sospettosi, ancora prudenti ma avidi di capire. Ci vorrebbe un bastone, per toccarla. Meglio una lunga canna. Per irretirla, ed osservarne la reazione. Come si fa con un animale sconosciuto. Con un nemico. I tre lunghi giorni di Bolzaneto stanno per cominciare.

La poliziotta e il suo collega, quelli che mi avevano portato fino lì, sembrano spariti. Forse la macchina è già andata via, io ormai sono entrata in un'altra galassia. E c'è questo agente grande e grosso. Che mi tiene forte. Che naturalmente non parla. Mi spinge in direzione di un edificio di fronte a me. La sensazione di paura sembra salire, e allora mi ripeto di stare calma. Adesso arriverà un ufficiale, recito mentalmente. Mi chiederà i documenti e gli spiegherò tutto. Speriamo sia una persona giovane, speriamo che capisca. Lo scoprirò subito, mi dico, me ne accorgerò dalla sua espressione. Ma capirà, ne sono certa. E fra dieci minuti sarò fuori di qui. Mezz'ora, al massimo.

***************

Ecco, è entrata. Ma nessuno le rivolge la parola. Nessuno rompe quel silenzio assurdo. Valérie adesso è in cella, il volto contro il muro.

E allora aspettiamo, dico. Forse dovranno parlare con quelli che mi hanno fermato, forse stanno cercando un interprete. O magari l'ufficiale sta riposando. Con questo caldo... Sicuro, dev'essere così: stava riposando. Ora hanno bussato alla sua stanza, lui si riveste e scende. Scende fino alla cella, mi stringe la mano e mi chiede: cosa è successo, madame?
Passano i minuti. Silenzio. Silenzio. Silenzio.
Sono così immersa nei miei pensieri. Così immersa, distante. Rifletto su quanto sia grottesca questa situazione. Perché la ragione ancora prevale. Sono così immersa - dico - che neppure mi accorgo che nella cella adesso c'è un'altra persona. E' una ragazza. Giovane, meno di trent'anni. Bionda, forse tedesca. Mi dà le spalle. Sembra sussultare. Ma cosa fa, piange? Piange, singhiozza. Provo a comunicare in inglese, che ti è successo? Appoggia la fronte al muro, e piange.

Non fare così, non siamo nel Medioevo. Trema. Avanti, staccati da quel muro, va tutto bene. Va tutto bene, non avere paura. No. No, mi risponde. Non va tutto bene. Lasciami così, ti supplico. Mi hanno ordinato di stare così. Faccia contro il muro, gambe divaricate, faccia contro il muro. Ti hanno ordinato? E fai attenzione, bisbiglia: mettiti così anche tu, altrimenti saranno guai. Vorrei rispondere a questa ragazza, vorrei spiegarle che non c'è motivo di preoccuparsi.

Vorrei prometterle che non siamo in pericolo, vorrei abbracciarla. Ma non muovo un muscolo. Ma non mi esce una sola parola di bocca. Anche io, adesso, sto in silenzio. Paralizzata. Perché temo di aver compreso. Perché adesso sono consapevole che la situazione è molto più grave di quanto avessi immaginato. Perché qualche minuto dopo arriva e mi prende, senza nessun motivo. Il terrore.

***********

Da dove dovrei cominciare? Dalla stretta al braccio, d'accordo. Perché quello è l'inizio di tutto. Ma dopo, dico. Devo raccontare le manganellate. Oppure gli schiaffi, i calci. L'umiliazione di spogliarsi davanti a uomini e donne che ridono di te. Che ti guardano, che scrutano ogni centimetro del tuo corpo, che ti penetrano con i loro occhi. Tu sei nuda, e ti senti così fragile. Sola. E tutto intorno a te è sporco, corrotto, nero. Appoggi i piedi sul pavimento e ti fa schifo, ti spingono da una parte all'altra e ti fa schifo, ti ticono alza braccia, e girati, e allarga le gambe, e accucciati e ti fa schifo. Vorresti solo gettarti a terra, perdere conoscenza. Dormire. E scoprire che era tutto un sogno. Forse potrei parlare di uno, che era finito lì dentro solo per essere identificato. Voleva il suo nome, tutto qui. L'hanno picchiato, l'hanno umiliato. E poi: scusa tanto, è tutto a posto. Puoi andare. Quella è l'uscita. E lui è andato fuori, e non sapeva che fare.

Era buio, non c'erano indicazioni. E' tornato indietro. Gli hanno detto: tranquillo, vai a destra e cammina per un paio di chilometri. Troverai il centro. Naturalmente, era dall'altra parte che doveva andare. O devo dire del sangue, di ragazzi grandi e grossi che piangono e tremano, che obbediscono terrorizzati - come automi - ad ogni ordine. Della notte passata abbracciati, a darci un po' di coraggio. E quei mostri che trascinano i loro caschi contro le sbarre delle celle, o s'affacciano all'improvviso alla finestra e cominciano ad urlare. A fare versi di animali. A grugnire come maiali. E a ridere.

***********

No, forse è meglio tornare ancora indietro. Scappare via con l'orologio del tempo. Facciamo che siamo ancora all'inizio del pomeriggio di venerdì. Che non mi hanno portato a Bolzaneto. Che sono in piazza Dante, insieme ai francesi di Attac e a centinaia di persone che protestano. Davanti a noi, quelle stupide grate.

L'obiettivo lo sapete. Volevamo ritrovarci, e dire che un altro mondo è possibile. Volevamo entrare, oltre la Zona Rossa, volevamo spiegare a tutti i politici che non è vero quello che dicono. Non è vero che non ci sono alternative. Perché loro si giustificano così: purtroppo non possiamo fare altro, amici, compagni, sarebbe bello cambiare - siamo tutti d'accordo, miei cari: chi non vorrebbe un mondo migliore - ma disgraziatamente non ci sono alternative. Invece no.

Si può cambiare, eccome. E loro lo sanno benissimo. Dunque, volevamo entrare. Abbiamo cominciato a spingere, a spingere. Come è successo che sono stata la prima? Beh, è abbastanza semplice da raccontare. Avete presente un barattolo di quelli sotto vuoto? Marmellata, verdure sott'olio, conserva di pomodoro.

Fa lo stesso. Allora: c'è questo barattolo, e naturalmente non si apre. Chiami tuo marito, che prova a svitarlo. Non ce la fa, s'arrabbia. Chiede uno straccio da avvolgere, perché scivola. Ci riprova. Bestemmia. Niente da fare. Arriva un altro uomo. Il nonno. Svita, svita. Niente. Ma dove ce l'hai la forza, ma lascia fare a me, ma passami questo barattolo. Arriva il figlio maggiore, il fratello. Insomma. Uomini, uomini, uomini. Quando il più intelligente di loro - sconfitto, esasperato - propone di prendere le pinze o peggio ancora un martello, sai che tocca a te. Che ci devi riprovare tu. E il barattolo - tlac! - magicamente si apre. Bastava ancora una piccola pressione. Ecco, quel pomeriggio è andata così. Che hanno spinto in quattrocento per più di un'ora. E ad un certo mi sono trovata lì, davanti a tutti. Ho appoggiato le mani e la grata di è aperta. Tlac. Come un barattolo di marmellata.

*************

A Bolzaneto sono arrivata venerdì pomeriggio. Me ne sono andata domenica notte. Mi hanno fatto male. Male dentro. E perché? Perché avevo fatto un passo in avanti, a braccia alzate. Ho visto un ragazzo per terra in un corridoio. Privo di conoscenza. Era a faccia in giù, in una posizione così innaturale - come disarticolato - che ho pensato: questo è ubriaco fradicio. Lo so che è una sciocchezza, però ho pensato che fosse sbronzo. E poi ho scorto il sangue che gli usciva dalle orecchie. Fuori dalla cella ne ho visto pestare uno di brutto. Pugni, calci, bastonate.

Sembrava un fantoccio, ad un certo punto ha smesso persino di provare a ripararsi dai colpi con le braccia. Uno dei poliziotti ha 'sentitò che qualcuno li stava osservando. Ha alzato lo sguardo, ha incrociato il mio. E' entrato in cella come una furia, mi ha preso per il collo, mi ha sbattutto con la faccia al muro. 'Ti ho detto che devi stare ferma!', ha ringhiato. Ho pianto. Ho pianto perché avevo vergogna di me stessa. Perché quando sono entrata in quella prigione ho guardato con stupore quella ragazza che mi diceva di stare zitta e buona. L'ho giudicata. Qui non siamo nel Medioevo, tu sei un essere umano, dov'è la tua dignità? Ma mezz'ora più tardi ero come lei. Stavo zitta, e pensavo solo a sopravvivere. E questo è il male più grande che mi hanno fatto, perché quel rimorso me lo porto dentro. Ce lo portiamo dentro tutti.

************

Dove ero rimasta? La griglia che si apre di mezzo metro. Giusto lo spazio per infilarmi. Diciamo che è stato come essere a teatro. Le tende che si aprono, il palcoscenico. S'accendono le luci. Tutti hanno fatto un passo indietro, ma qualcuno doveva entrare in scena. E' toccato a me. Ho pensato che avevamo vinto. Che bastava fare ancora un piccolo passo per smascherare questa parodia. Ho capito che era l'istante da vivere. E' stato come quando vedi dei bambini che attraversano la strada. E tu fai un passo in avanti, istintivamente.

Ero a fianco di Joseph Bové, dietro di me c'era una delle madri di Plaza de Mayo. Ho fatto un passo ed ero felice. Nell'altro mondo. Nella Zona Rossa. Non so quanto tempo sia passato. Qualche secondo, credo. Sono arrivati degli uomini in divisa, con i caschi e le maschere anti-gas. Mi hanno portato lontano, io ho alzato le braccia perché tutti mi vedessero. Perché tutti mi seguissero. E' fatta, mi sono detta. Adesso anche gli altri entreranno da nuovi varchi. Adesso gli abbiamo dimostrato come erano ridicoli, con queste barriere, con le loro assurde gabbie. Adesso ci riceveranno i rappresentanti degli Otto. Parleremo, parleremo, parleremo. Capiranno l'assurdità di questo isolamento. Adesso succederà tutto questo. Invece no.

E' alta, sottile, ha modi gentili e pacati. Valérie avuto un'infanzia difficile, dice. Oggi ha quarant'anni, tre figli. Vive non lontano da Avignone, fa la giornalista. Nella sua famiglia ci sono stati molti poliziotti, conosce bene i meccanismi di chi veste la divisa.

Me ne ricordo uno, a Bolzaneto. Credo sia quello che ha avuto la condanna più pesante. Aveva una faccia da brav'uomo. Gli occhi chiari, lo sguardo fermo. Robusto, calvo. Sapeva un po' di francese. Uno con cui si potrebbe parlare a lungo. Ma lontano da quella caserma. Là dentro mi ha preso il passaporto, lo ha sfogliato. Mi ha mostrato le fotografie dei bambini. 'Li vuoi davvero rivedere? Allora firma questo verbale.

Altrimenti gli puoi dire addio'. Così mi ha detto, quel brav'uomo. Voleva farcela pagare, ecco. Non mi chiedete perché. Voleva punirci. Lui, gli altri. Dicevano: i 'rossì li trattiamo così, in Italia. Chiedevi un avvocato e si mettevano a ridere. 'Devi firmare', mi diceva. Con quegli occhi dolci. Quel sorriso paterno.

Non lo sapevo di essere la sola, dentro la Zona Rossa. Non lo sapevo che avevano subito chiuso il varco, che li avevano ricacciati indietro. Non lo sapevo che mi avrebbero portato a Bolzaneto. Non lo sapevo ed ero tranquilla. Anche se mi guardavano male, anche se mi spintonavano lontano da lì. Mi hanno consegnato a degli agenti in borghese, poi è arrivata quella strana macchina. E la poliziotta. Che mi ha tirato un bel pugno in bocca, senza motivo. Mi hanno legato le mani dietro la schiena, e sono finita in macchina, Una strana vettura, senza sedili, con dei vetri scuri. Avevo la sensazione di soffocare, ma un secondo agente, quello che si è messo al volante, mi ha fatto segno che sul pavimento c'erano dei buchi per l'aria. Abbiamo attraversato la città, ho scorto il centro storico e il porto di Genova. Mi sono commossa, mi è sembrata una città bellissima e ho pensato come sarebbe stato bello venirci per un gita. Forse era esattamente questo, che i poliziotti avrebbero voluto dirmi: qui non ci dovevi venire, per manifestare. Sei venuto, e ora ti meriti tutto ciò. La prossima volta vieni per visitare la città, sarà meglio.






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La mattanza della Democrazia
Massimo Calandri

DeriveApprodi






 
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view post Posted on 13/11/2008, 12:50
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Orgoglioso membro del club "strozzi ed anche un po' cornuti"

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Da repubblica.it:

CITAZIONE
G8, ecco l'agente che portò le molotov
Oggi la sentenza sul massacro della Diaz
In serata dovrebbe arrivare la sentenza per il blitz nella scuola Diaz durante il G8 di Genova. I pm hanno chiesto 109 anni per 28 imputati. Tra di loro l´ex Sisde Luperi e Gratteri, al vertice dell'Antiterrorismo. In aula saranno presenti molte delle 93 vittime. Tra di loro Mark Covell, giornalista inglese di 40 anni presente nella scuola durante l'irruzione nella scuola, che ha ricostruito tutto il percorso fatto dalle molotov: quella che potrebbe essere la «regina» delle prove false
di Massimo Calandri


GENOVA - Tutto suggerisce che la sentenza sarà letta al più tardi questa sera, in un tribunale che si annuncia affollato e sorvegliatissimo dalle forze dell´ordine. La prima sezione, presieduta da Gabrio Barone, si riunirà in camera di consiglio intorno a mezzogiorno. Per il blitz nella scuola Diaz gli imputati sono 29, tra agenti e super-poliziotti: i pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini hanno chiesto la assoluzione di un commissario di cui «non è certa la presenza nell´istituto», e 28 condanne a complessivi 109 anni e 9 mesi di reclusione. Per aver massacrato delle persone inermi, per averle arrestate illegalmente e con prove false.

Sotto accusa ci sono alcuni tra i nomi più noti del ministero dell´Interno: Francesco Gratteri, oggi al vertice dell´Antiterrorismo, Giovanni Luperi, attuale capo dell´Aisi, l´ex Sisde, e Gilberto Caldarozzi, tra i protagonisti della cattura di Bernardo Provenzano. Intanto Fausto Bertinotti racconta una sua telefonata con il capo della polizia di allora, Gianni De Gennaro: "Cosa vuole che faccia, quella non e´ un´ambasciata... Non c´è extraterritorialità. Quello che sta avvenendo è una sorta di controllo del territorio. Non le posso dire altro, ma non mi può chiedere una protezione come fosse un´ambasciata". Bertinotti, che era allora segretario di Rifondazione Comunista, dà la sua testimonianza in un film-inchiesta di Beppe Cremagnani, Enrico Deaglio e Mario Portanova dal titolo "Fare un golpe e farla franca". Un estratto dell´intervista è on line sul sito Repubblica.it.

Stamani saranno presenti molte delle 93 vittime. Tra di loro Mark Covell, giornalista inglese di 40 anni. Che nel 2006, nell´aula del tribunale di Genova, mentre raccontava di come i poliziotti l´avevano quasi ammazzato a calci e bastonate, ha scorto il sorriso sprezzante di alcuni difensori degli imputati. Non riusciva a trattenere le lacrime, e intanto gli altri ridevano. La rabbia, la frustrazione, e un´inquietudine improvvisa: quella di non riuscire un giorno ad avere giustizia.


È così che ha deciso di trasformarsi in un detective. Ha raccolto tutto il materiale video e fotografico della notte maledetta, è tornato nella sua città e con la collaborazione di una quindicina di tecnici ha lavorato giorno e notte a quella che ha ribattezzato la London Investigation. Oggi è in grado di raccontare tutto il percorso fatto dalle molotov. Le due bottiglie incendiarie portate dalle forze dell´ordine all´interno della Diaz dopo il blitz per «giustificare» il massacro e l´arresto, sostenendo che i no-global erano in realtà pericolosi Black Bloc. La «regina» delle prove false. Covell è riuscito ad isolare il fotogramma-simbolo di una delle pagine più nere nella storia della Polizia di Stato: il cortile della scuola, le sagome di due funzionari che si allontanano, e sullo sfondo a sinistra il profilo di un uomo sulla soglia dell´ingresso laterale. Di spalle, in borghese, con un casco protettivo. Nella mano sinistra stringe qualcosa. Il sacchetto con le bottiglie.

Le fotografie sono state depositate recentemente dalle parte civili e non fanno che reiterare le accuse della procura. «Voglio giustizia. Vogliamo giustizia. Perché le cose che sono accadute a noi della Diaz non debbano accadere a voi, un giorno». Mark Covell ? il giornalista, la vittima, il detective ? mostra ora una fotografia dietro l´altra. Indica questo e quel video, analizza ogni secondo di quei minuti drammatici e cita le rare testimonianze degli imputati.

Mette insieme fotografie, filmati e verbali: «Questo è Gratteri che telefona e si avvicina all´ingresso. Ora vedete? Mortola al cellulare. Burgio, l´agente che materialmente porta le molotov fino al cortile della scuola. Poi Troiani che parla con gli altri super-poliziotti. Luperi che mostra il sacchetto. Ed eccolo ancora qui, dentro la scuola: spuntano le molotov, stanno per sistemarle su quel lenzuolo dove metteranno in mostra tutte le cose sequestrate». Luperi giurò di aver chiamato una funzionaria, Daniela Mengoni. Affidò a lei, nel cortile, le molotov. La Mengoni a sua volta disse di averle passate ad un misterioso ispettore della Digos di Napoli. Uno che non fu mai identificato. «Ma la Mengoni non appare mai nel cortile. E anche quella dell´ispettore di Napoli, che nessuno ha identificato, è una sporca bugia».

Un gruppo di «celerini» lo aveva assalito mentre si trovava in via Battisti, a cinquanta metri dalla scuola. Cominciava la «carica» alla Diaz. Inutile mostrare l´accredito da giornalista. Era rimasto agonizzante sulla strada per venti minuti. Quasi tutti i funzionari sotto accusa raccontarono di non essersi resi conto di quello che stava accadendo dentro la scuola. Però Mark si rifiutarono di vederlo. Più tardi in ospedale fu arrestato. Sostenendo che era dentro la scuola. Stamani vuole giustizia. E non si arrende. «Ho trovato altre immagini. E troverò anche il nome di quelli che mi volevano uccidere».

Con la sentenza di oggi mi auguro che venga resa giustizia, punendo quei funzionari e quei poliziotti che invece di perseguire i colpevoli delle devastazioni si abbandonarono ad un'orgia squadristica di violenza e manganellate.
 
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hustlazz
view post Posted on 13/11/2008, 13:06




un'altro thread?
 
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view post Posted on 13/11/2008, 13:07
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CITAZIONE (hustlazz @ 13/11/2008, 13:06)
un'altro thread?

Esisteva già questo, Dimitri. Ho ritenuto opportuno inserire qui la notizia, dato che non mi pareva calzante quello dedicato a Carlo Giuliani.
 
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miralanza
view post Posted on 13/11/2008, 13:08




un chiiarimento:
la sentenza è attesa per oggi o c'è stata
 
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conmar
view post Posted on 13/11/2008, 13:10




l'Avevo già postato io ieri inGoverno Berlusconi un articolo simile ..
Da noia se lorimetto anche qui? :)
CITAZIONE

Diaz, l´ultima immagine dello scandalo ecco l´uomo che porta le molotov

In una ricostruzione della Bbc si vede un uomo che introduce nella scuola le bottiglie incendiarie
di Massimo Calandri
Eccola la fotografia-simbolo di quella notte maledetta . Inedita. Oscura. Inquietante. È stata estrapolata da un filmato girato da un operatore Rai e depositato dalle parti civili il mese scorso. Nel mosaico riportato qui a fianco, è il quadrato sulla destra in alto. Si riconoscono il cortile della scuola Diaz, le sagome dei funzionari di polizia che si allontanano dopo aver chiacchierato a lungo intorno al sacchetto azzurro con le due bottiglie incendiarie. Sullo sfondo le grandi finestre dell´istituto, le stanze illuminate. E a sinistra - piccolino, cerchiato di rosso - il profilo di un uomo sulla soglia dell´ingresso laterale. È di spalle, in borghese, indossa un casco protettivo. Nella mano sinistra stringe qualcosa. Sì. È il sacchetto azzurro delle molotov. Accanto riporta una didascalia in inglese, perché l´immagine fa parte di un´inchiesta giornalistica della Bbc di prossima pubblicazione: «Naples Digos Inspector entering Diaz Pertini». Si tratta cioè del fantomatico ispettore della Digos di Napoli che introduce materialmente nella scuola le molotov della vergogna, una della prove fasulle - la "regina" delle prove false - con cui la Polizia di Stato avrebbe voluto "giustificare" il massacro e le manette ai 93 no-global.

GUARDA Le Immagini


Il documento è paradossalmente eccezionale. Perché da un lato rappresenta il punto di non ritorno della vicenda: ecco come le forze dell´ordine hanno truccato le carte, barato, mentito fin dalla prima ora di quella notte dannata. È tutto vero: fu un pestaggio cinico e bestiale, e i servitori dello Stato preferirono raddoppiare l´orrore - aggiungendo alla carneficina l´ingiustizia della prigione - piuttosto che ammettere le proprie responsabilità, il fallimento. Ma d´altro canto, quella spaventosa bugia è così chiara, solare, che persino alcuni avvocati della difesa nella loro recente arringa la davano per scontata. Alla Diaz abbiamo imbrogliato, embé?

La catena è stata definitivamente ricostruita nel corso di quasi quattro anni di dibattimento e centocinquanta udienze.

L´agente Michele Burgio prende le due molotov - che erano state sequestrate nel pomeriggio durante gli scontri di corso Italia dal vice-questore Pasquale Guaglione, e da lui affidate a Valerio Donnini, padre degli specialissimi nuclei anti-sommossa e capo di Burgio - e nel cortile della scuola le consegna al vice-questore Pietro Troiani. Il funzionario le mostra al collega Massimiliano Di Bernardini. Poi entra in ballo Gilberto Caldarozzi, l´uomo che qualche anno dopo avrebbe partecipato alla cattura di Bernardo Provenzano. Qualche minuto più tardi, il sacchetto azzurro delle molotov è impugnato da Giovanni Luperi e mostrato agli altri super-poliziotti che gli si fanno intorno. E questa, di immagine, la conosciamo bene. Quello che succede dopo ce l´hanno raccontato gli stessi protagonisti in negativo del blitz. Luperi, attuale direttore dell´ex Sisde, ricorda di aver chiamato una funzionaria che stava all´esterno della scuola. Perché mai? Per affidarle il reperto, che pure in quel momento - visti gli sviluppi successivi - aveva una straordinaria importanza investigativa. Bene: Luperi chiama Daniela Mengoni e le dice di avere cura delle molotov. E la Mengoni che fa? A sua volta chiama un sottufficiale. «Credo fosse un ispettore della Digos di Napoli».

Credo, dice. Non ne conosce il nome, non è in grado di riconoscerlo. Nessuno degli ispettori Digos napoletani, rintracciati anni dopo dai magistrati, corrisponde a quello indicato dalla donna. E dunque, con lui e il sacchetto si avvicina all´entrata secondaria della scuola Diaz. Chissà perché. Si avvicina, e gli affida la prova «regina». Le molotov, che il nostro codice equipara ad armi da guerra. La prova intorno alla quale avrebbero poi giustificato l´intera operazione. «Tienile un momento, che devo fare una cosa». Lo molla lì. Quando torna, le bottiglie incendiarie saranno allineate sul lenzuolo che ospiterà il resto dell´"arsenale" sequestrato ai fantomatici Black Bloc della Diaz: i coltellini multiuso, le sottile anime in alluminio degli zaini fatte passare per spranghe, gli assorbenti femminili, la biografia del reverendo Jesse Jackson fatta passare per materiale "eversivo". E i picconi, le mazze rubate da un vicino cantiere.

Alla storia si aggiunge oggi quest´ultima immagine. Quella dell´ispettore Digos di Napoli (?) che entra nella scuola. C´è poi un altro fotogramma che ritrae lo stesso uomo mentre esattamente cinque minuti prima entra nella scuola, un camicione blu fuori dai pantaloni di colore beige. È quello in basso a sinistra. A fianco, nel terzo riquadro, l´ispettore leaving - che la lascia - la Diaz. La visiera del casco ben calata a nascondere il volto. Sono trascorsi altri quattro minuti. Nove in tutto. Per entrare, piazzare le bottiglie e andarsene. Ma tornando al riquadro lassù in alto, quello dell´ingresso delle molotov nella scuola, vale la pena di sottolineare i due funzionari indicati dalla Bbc.

Uno è appunto Luperi, oggi ai vertici del ministero dell´Interno. Nel processo ha rifiutato di essere interrogato, preferendo le "dichiarazioni spontanee". Senza contraddittorio. Ha spiegato che quella sera lui era tutto sommato rimasto ai margini dell´operazione. Era soprattutto preoccupato di portare i colleghi a cena, ricordava. L´altro era Spartaco Mortola, adesso questore vicario a Torino, allora capo della Digos di Genova. L´ufficio cui vennero affidate per la custodia le molotov, il reperto trasformatosi in un boomerang per la Polizia di Stato. Le bottiglie furono "accidentalmente" distrutte dagli stessi agenti. Questa è un´altra storia, verrebbe da scrivere. Ma purtroppo la storia è sempre la stessa.
(12 novembre 2008)

 
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tabellina
view post Posted on 13/11/2008, 13:12




CITAZIONE (miralanza @ 13/11/2008, 13:08)
un chiiarimento:
la sentenza è attesa per oggi o c'è stata

G8, ecco l'agente che portò le molotov
Oggi la sentenza sul massacro della Diaz
In serata dovrebbe arrivare la sentenza per il blitz nella scuola Diaz durante il G8 di Genova. I pm hanno chiesto 109 anni per 28 imputati. Tra di loro l´ex Sisde Luperi e Gratteri, al vertice dell'Antiterrorismo. In aula saranno presenti molte delle 93 vittime. Tra di loro Mark Covell, giornalista inglese di 40 anni presente nella scuola durante l'irruzione nella scuola, che ha ricostruito tutto il percorso fatto dalle molotov: quella che potrebbe essere la «regina» delle prove false

da genova.repubblica.it
 
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miralanza
view post Posted on 13/11/2008, 13:13




gratias
 
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conmar
view post Posted on 13/11/2008, 13:15




Speriamo che sia fatta giustizia e che finalmente la verità venga fuori....
 
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Terra & Libertà
view post Posted on 13/11/2008, 13:17




CITAZIONE (tabellina @ 13/11/2008, 13:12)
CITAZIONE (miralanza @ 13/11/2008, 13:08)
un chiiarimento:
la sentenza è attesa per oggi o c'è stata

G8, ecco l'agente che portò le molotov
Oggi la sentenza sul massacro della Diaz
In serata dovrebbe arrivare la sentenza per il blitz nella scuola Diaz durante il G8 di Genova. I pm hanno chiesto 109 anni per 28 imputati. Tra di loro l´ex Sisde Luperi e Gratteri, al vertice dell'Antiterrorismo. In aula saranno presenti molte delle 93 vittime. Tra di loro Mark Covell, giornalista inglese di 40 anni presente nella scuola durante l'irruzione nella scuola, che ha ricostruito tutto il percorso fatto dalle molotov: quella che potrebbe essere la «regina» delle prove false

da genova.repubblica.it

2 cose mi hanno colpito

la prima che le immagini del polizioto non sono state fatte vedere in nessun tg

la seconda sono le parole di bertinotti e soprattutto quelle di de gennaro
qui http://tv.repubblica.it/copertina/scuola-d...tti/26266?video


 
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miralanza
view post Posted on 13/11/2008, 15:17




CITAZIONE (conmar @ 13/11/2008, 13:15)
Speriamo che sia fatta giustizia e che finalmente la verità venga fuori....

mi pertto di spegere il tuo ottimiso
rarmente l verità processuale è corrispondente con quella dei fatti
magari un'idea ci si fa
ma un'idea sul fato che ci son state violenze fuorilegge l'abbiamo già
a sentenza sevirà piu che altro sul piao individuale per pèter dire che tizio piuttosto che caio ha comesso un delitto o piu
 
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view post Posted on 13/11/2008, 23:22
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Orgoglioso membro del club "strozzi ed anche un po' cornuti"

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E' giunta alfine la sentenza. Come per Bolzaneto, anche per la Diaz c'è una giustizia "dimezzata": gli esecutori materiali sono stati riconosciuti colpevoli e condannati (comunque a pene lievi, tenuto conto delle circostanze aggravanti: il massimo sono stati 4 anni e 6 mesi, con interdizione dai pubblici uffici per la sola durata della pena stessa), i responsabili agli alti livelli, coloro ai quali era demandata la responsabilità di guida e coordinamento dei reparti, sono passati indenni.

Uno schiaffo morale se non fisico anche il riconoscimento del risarcimento alle vittime, dai 5mila ai 50mila Euro: come se con pochi, miserabili soldi si possa cancellare con un colpo di spugna le ripetute violazioni delle garanzie costituzionali e dei diritti universali che queste persone hanno patito.

Incredibile la faccia tosta del governo, che esulta per quella che resterà come una macchia di infamia per il nostro Paese agli occhi del mondo intero, facendoci assimilare idealmente all'Argentina di Videla (oggi stesso il Pdl ne ha dato esempio in altro ambito, quello della Vigilanza Rai) ed al Cile di Pinochet. L'unico commento possibile è l'urlo spontaneo che si è levato nell'aula al termine della lettura della sentenza: VERGOGNA!
 
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Terra & Libertà
view post Posted on 13/11/2008, 23:58




Forze dell'ordine che escono praticamente impunite davanti a crimini certi, documentati.
Queste cose succedono nei regimi.
Ma qua in italia siamo troppo educati, se ci tolgono la democrazia da sotto le mani non ci si deve incazzare, non sta bene.

Sono scosso ed ho molta rabbia dentro.
Vorrei gridare anch'io "vergogna", ma so che in questo paese di lobotizzati non servirebbe a nulla.
 
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miralanza
view post Posted on 14/11/2008, 07:50




CITAZIONE (fede(Buzzer) @ 13/11/2008, 23:22)
E' giunta alfine la sentenza. Come per Bolzaneto, anche per la Diaz c'è una giustizia "dimezzata": gli esecutori materiali sono stati riconosciuti colpevoli e condannati (comunque a pene lievi, tenuto conto delle circostanze aggravanti: il massimo sono stati 4 anni e 6 mesi, con interdizione dai pubblici uffici per la sola durata della pena stessa), i responsabili agli alti livelli, coloro ai quali era demandata la responsabilità di guida e coordinamento dei reparti, sono passati indenni.

Uno schiaffo morale se non fisico anche il riconoscimento del risarcimento alle vittime, dai 5mila ai 50mila Euro: come se con pochi, miserabili soldi si possa cancellare con un colpo di spugna le ripetute violazioni delle garanzie costituzionali e dei diritti universali che queste persone hanno patito.

Incredibile la faccia tosta del governo, che esulta per quella che resterà come una macchia di infamia per il nostro Paese agli occhi del mondo intero, facendoci assimilare idealmente all'Argentina di Videla (oggi stesso il Pdl ne ha dato esempio in altro ambito, quello della Vigilanza Rai) ed al Cile di Pinochet. L'unico commento possibile è l'urlo spontaneo che si è levato nell'aula al termine della lettura della sentenza: VERGOGNA!

i reati contestati eran tuti doloso
quindi non si posson condanare i vertici per omessa vigilanza
magari mancavano prove di un diretto coinvolgimento
mi sembra che la trminologia usata sia eccesiva
ma quis custodiet ipsos custodes?
 
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miralanza
view post Posted on 14/11/2008, 08:13




si è condnaot un interop nucleo di polizia dai veritci alla base
dov'è l'imunoità?
s oeva una condana politica frse ma questa non è giustizia
è altra cosa
a prescindere dalle opinioni di merito

il sindaco di genva dice che serva una commissione d'inchiesta
forse è vero per le resp politiche
che infatti son diverse da quelle penali
 
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187 replies since 15/9/2008, 08:56   1743 views
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