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bye bye Italia !, chiedo ASILO POLITICO

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pizzo1
view post Posted on 30/4/2008, 15:00




mi sono rifugiato in padania ^_^
 
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bob lauriski
view post Posted on 26/5/2008, 15:43




In questo topic non poteva mancare questa canzone.

 
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pierobol
view post Posted on 10/3/2010, 12:11




CITAZIONE
fonte: corriere.it

La coppia di trentenni: addio a stage, pochi soldi e tante difficoltà

«Noi, giovani laureati in fuga da Milano»
Alice e Matteo: costretti a lasciare, troppo inospitale e cara. In Australia nuovo lavoro e affitto ragionevole


MILANO - Sono sogni di normalità quelli di Alice e Matteo. Trovare un lavoro in linea con capacità e competenze. Avere presto culla e passeggino in giro per casa. E — domani — fare vivere i propri figli in un contesto sereno, sicuro, sano. «A Milano, la nostra città, tutto questo era difficile da realizzare— raccontano oggi i due ragazzi —. Abbiamo meditato per lunghi giorni, e notti, e ancora giorni. Poi abbiamo deciso di emigrare in Australia». Trentuno anni lui, trenta lei, sia Alice che Matteo si sono laureati a pieni voti nel 2004, rispettivamente in Lingue e in Linguaggio dei media. «Poi ci siamo infilati nel tunnel degli stage e dei contratti a termine», racconta Matteo. «Sono entrato in un’agenzia di pubblicità come account a 250 euro al mese. Passati sei mesi mi hanno fatto un contratto a progetto di altri sei mesi a 500 euro. Poi ancora un contratto. Finalmente mi hanno assunto a tempo indeterminato a 1.100 euro, straordinari e domeniche compresi». «A me è andata peggio — interviene Alice —. Ho lavorato da precaria per un paio di siti internet. Farsi pagare era un’impresa. Quindi ho ripiegato su un posto da segretaria a mille euro al mese».

«L’idea dell’Australiaci è venuta perché subito dopo la laurea abbiamo passato quattro mesi a Sidney per una vacanza lavoro», ricorda Matteo. «Nel dicembre 2006, dopo un paio d’anni di frustrazioni post laurea, abbiamo cominciato il lungo e complesso iter che regola l’emigrazione in quel Paese — prosegue il racconto Alice —. Presto ci siamo convinti che il massimo traguardo raggiungibile per noi a Milano era un lavoro a tempo indeterminato da mille euro al mese ciascuno. Il che avrebbe voluto dire destinare metà delle entrate familiari per l’affitto o il mutuo di un appartamentino nell’hinterland. Con tutto il corollario che ne deriva: due ore al giorno sui treni dei pendolari, figli rimandati a data da destinarsi, stress e frustrazioni quotidiane».
Quando nel marzo del 2008è arrivato il via libera per un visto di tre anni ad Adelaide, Alice e Matteo hanno passato qualche notte insonne. Poi hanno deciso: «Partiamo». A giugno si sono sposati, poi hanno preso l’aereo che li ha portati dall’altra parte del mondo.

A che punto sono oggi i loro sogni? «Alice ha un posto da segretaria a 2.100 euro al mese: sta facendo colloqui, è convinta di poter trovare di meglio. Io insegno italiano all’università di Adelaide — racconta Matteo —. Ci sono prospettive di stabilizzazione. Perciò mi sono iscritto a un master on line dell’università Cà Foscari, così avrò più possibilità di passare di ruolo. La retribuzione è buona: poco meno di 4.800 euro al mese. E qui la vita costa meno. Per dire, abitiamo in una villetta a pochi passi dal mare e paghiamo l’equivalente di 900 euro d’affitto».
Alice e Matteo domattina spalancheranno le finestre e vedranno i delfinigiocare con l’oceano. Ma adesso è sera, e con il buio non c’è spettacolo della natura che protegga dalla nostalgia. «L’Italia ci manca — dicono entrambi —. Ma stiamo iniziando le pratiche per il visto permanente. Speriamo di ottenerlo presto, così nostro figlio non dovrà aspettare per venire al mondo. Qui, nella terra delle opportunità».

Rita Querzé
10 marzo 2010

 
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Jackson Keith Wilkes
view post Posted on 12/3/2010, 23:28




mi sà che mi sono perso qualcosa.. :uhm:
 
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pierobol
view post Posted on 23/3/2010, 12:27




tratto da lastampa.it

CITAZIONE
23/3/2010 (7:33) - UN GRANDE ESODO SILENZIOSO

"Fate come noi. La seconda vita
si inventa così"


image
La homepage del sito «Voglio vivere così»
+ Il sito «Voglio vivere così»

Cambiare vita: "eroi" che ce l'hanno fatta




In un sito le avventure degli italiani in fuga
“All’estero molti sogni diventano realtà”


FEDERICO TADDIA
MILANO

Mollo tutto, e vado via! Chi non l’ha pensato almeno una volta nella vita, sgranando un rosario di motivazioni che vanno dallo stress da traffico a quello da capoufficio, passando per l'inquinamento, la suocera e le liti condominiali.

Ma quello che per molti è solo il pensiero di un attimo, per altri si trasforma in un desiderio irrefrenabile. Fare la valigia e salutare il Belpaese per chiudere con il passato e cambiare vita. E magari raccontare poi la propria storia, come esempio per altri sognatori, o semplicemente per far schiattare d'invidia gli ex colleghi di lavoro.

«Da anni giro il mondo, e in ogni angolo ho trovato italiani che all'improvviso hanno dato una svolta alla propria esistenza, reinventandosi all’estero. Ho iniziato a raccogliere le loro esperienze e a metterle in rete per far condividere idee, progetti e suggerimenti». E così tre anni fa, Alessandro Castagna, commerciante veronese di oggetti etnici, fischiettando una hit degli anni 40 del tenore Ferruccio Tagliavini, apre per hobby il sito www.voglioviverecosi.com, che diventa ben presto un punto di riferimento per tanti italiani in fuga.

«Ho raccolto più di 300 storie fino ad oggi, anche molto diverse tra loro. In tutte però traspare sempre la voglia di cercare ritmi più umani, di rallentare un po’, di avere qualche soldo in meno, ma potersi godere il lusso del tempo». Come confessa Aldo, quando spiega perché a 48 anni, davanti ad una birra e pensando all'ennesima coda in tangenziale, ha deciso di lasciare Clusone, in provincia di Bergamo, per aprire un piccolo lodge a Watamu nel cuore del Kenya.

Stesso discorso per Alessandro, che ha abbandonato la routine di Ferrara per andare a fare il barista alle Isole Cayman, giustificando così nel sito la sua meta finale: «Tutti le conoscono come paradiso fiscale, e invece sono un vero paradiso terrestre». E c'è anche chi sceglie l'estero quasi a scatola chiusa, per andare alla ricerca di un riscatto: non ha paura ad ammetterlo Roberto, stanco a 50 anni di fare il precario in Italia e deciso a riprovarci per l'ultima volta, scegliendo il Messico come nazione da cui rialzarsi in piedi. E un piccolo «Bed&breakfast», aperto come disperata ancora di salvezza, diventa il punto di partenza per un sogno che finalmente prende corpo.

Quarant’anni, un lavoro che comunque dà soddisfazioni economiche, tanti viaggi alle spalle e qualche euro da investire: è un po' questo l'identikit di chi sceglie di partire. «Sì, molti di quelli che scrivono sul sito corrispondono a questa descrizione - dice Alessandro -. In pochi hanno lasciato l'Italia senza soldi in tasca, e tutti consigliano sempre di pianificare bene la partenza, suggerendo anche di lasciare aperta qualche porta per un eventuale ritorno in patria. Servono volontà e motivazioni per mettersi in gioco e bisogna sì seguire l'istinto, ma è meglio anche prepararsi bene a quello a cui si va incontro».

E chissà se Luisa, aretina con una laurea in Letteratura angloamericana in tasca, ha seguito l'istinto. quando si è inventata un lavoro da tour operator nella regione dell'Harjedalen in Svezia, tra i pastori Sami o 45 mila renne? «Nel nostro Paese - racconta - si assiste non solo alla fuga dei cervelli, ma anche a quella di persone normali, come me, che non hanno trovato il giusto spazio nel mondo del lavoro. Non saprei dire se è stata una scelta estrema. In quel momento mi sembrava una valida alternativa per poter finalmente fare ciò che volevo», scrive Luisa nel sito, prima di parlare della magia della notte artica e del decisivo «battesimo della solitudine» che ha attraversato.

E a quel punto diventa quasi normale, di storia in storia, scoprire che per alcune persone il «voglio vivere così» diventa lo spostarsi dall'Alto Adige per andare a fare la guida alpina in Nepal, aprire una gelateria nel Sud del Portogallo, inventarsi un centro di spiritualità nel cuore dell'Argentina o convincere tutta la famiglia ad andare a vivere in un deserto in Israele. «Nel raccontare le loro storie tutti fanno anche un po' di autopromozione alle proprie attività - aggiunge Alessandro, un attimo prima di svelare che a 45 anni non ha ancora trovato la forza di mollare tutto ed andare a vivere a Minorca. - Ma quello che mi piace è l'energia che esce dalle loro parole: non ne posso più di gente che si piange addosso. Qui traspare tanto coraggio, sudore, fatica e a volte un pizzico di follia: ma anche tanto ottimismo».

Ma tra tutti quelli che hai conosciuto chi è quello che hai invidiato di più? «Il mio mito personale è Giorgio, un sessantasettenne che è andato in Nicaragua per lavorare come volontario alla costruzione di un ospedale. Quando i suoi colleghi sono tornati a casa, lui è rimasto là: si è comprato un pezzo di terreno a Corn Island, e oggi se la spassa tra pesca, rum e una natura spaventosamente bella, vivendo giorno per giorno il famoso motto locale che è tutto un programma: “Perché fare oggi quello che puoi fare domani?” Ecco: anche io voglio vivere così».

 
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pierobol
view post Posted on 23/3/2010, 12:58




Il sito www.voglioviverecosi.com era fino a poco fa bloccato causa l'eccessivo afflusso di visitatori. :o: :woot:

Questo dimostra quanto poco interessi in Italia una fuga all'estero. -_-




tratto da www.voglioviverecosì.com

CITAZIONE
LIBRI: LA CURA DI MICHELE AINIS 15/3/2010

In Italia l’ascensore sociale non funziona, è sempre fermo al piano di partenza”.

La denuncia arriva da Michele Ainis, costituzionalista, docente a “Roma Tre”, che di recente ha pubblicato “La Cura” (edito da Chiarelettere), un decalogo per ricominciare da zero e rovesciare uno Stato ingessato, in cui l’obbedienza è diventata un vizio e alla cultura del conflitto, che è il sale dei sistemi liberali, si è sostituito il culto del potere, delle gerarchie, dell’ordine. Dieci regole, quelle proposte dall’autore, contro il potere degli inetti per una Repubblica degli eguali, dove per eguaglianza il saggista intende quella “proporzionale” contro quella aritmetica, secondo la distinzione che nell' Antica Grecia fece Aristotele.

Secondo il docente, in Italia “ti passa la voglia di sbatterti e sudare, quando sai già in anticipo che la tua carriera dipende dal certificato di nascita che hai ricevuto in sorte, o nel migliore dei casi dalla benevolenza dei potenti”. E alla fine questa situazione ti toglie slancio, dinamismo, fiducia nel futuro. “Da qui un pessimismo duro e compatto- si legge- come una lastra di piombo. Il futuro non è più quello di una volta, diceva il poeta Valéry. C’è, insomma, in circolo uno scoramento collettivo, un senso di frustrazione che si è trasformato in depressione. Nessuna autorità, sia civile, sia politica, riscuote più il consenso del popolo italiano. E, dunque, si salvi chi può. Dentro la cornice delle regole, ma più spesso al di fuori”.

Dunque, il nostro Paese diventa sempre più asfissiante e incapace di slancio. Perché non sa più riconoscere e premiare i capaci, e togliere lo scettro agli inetti. Troppi giovani bravi e onesti restano al palo. Troppe donne emarginate. Troppi singoli contro il concistoro delle lobby. Troppi spiriti liberi lasciati soli contro il conformismo dei partiti, dei sindacati, delle chiese. La cultura italiana sembra non si sia liberata dell’eredità medievale, quella delle corporazioni, per cui il mestiere dei padri spettava di diritto ai figli. E per cui erano ritenute abominevoli le sfide della concorrenza, del commercio, del libero mercato. L’Italia di oggi sembra quella dei Comuni. E il Sessantotto? Ainis replica: se “fu una scossa elettrica per la nostra società, prima di allora ingessata in modelli autoritari, nello stesso temo oscurò la cultura dei doveri, delle responsabilità sociali. E, soprattutto, scambiò l’eguaglianza con un egualitarismo alla cinese, attraverso il diciotto politico, il diritto alla laurea gratis sia per gli asini sia per i puledri. Un errore prospettico, benché consumato in buona fede. L’errore di confondere il traguardo con la linea di partenza.”

Si obietterà che il Sessantotto è stato un fenomeno globale. E allora, perché tante storture solo nel nostro Paese? Per il saggista in Italia il lascito antimeritocratico di quel movimento è duro a morire per una nostra cultura che privilegia l’ organicismo all’individualismo, tipico dei Paesi anglosassoni. E per via di una doppia cultura, che in varie esperienze si profila come un’unica cultura. Ainis allude al cattocomunismo.

In un Paese come il nostro, in cui è al potere un’oligarchia di 17 mila personaggi, “maschile centronordista, invecchiata, con vistosi problemi di ricambio, forte in consenso e debole in competenza” (Carboni 2007), per i giovani la strada per affermarsi è in salita.

“E come mai – si chiede il costituzionalista- potrebbe funzionare la macchina sociale, quando, stando ad un’indagine condotta su tredici Paesi Europei (Ederer 2006) , l’Italia figura all’ultima casella per capacità di utilizzare il proprio capitale umano?” La scarsa volontà di riconoscere i talenti, stimolarli, di compensarne adeguatamente l’operato è la palla al piede della nostra società, schiacciata da una cultura antimeritocratica, che rigetta l’idea di una sana competizione. Vanno avanti i raccomandati. Certo, anche nei Paesi anglosassoni esiste la raccomandazione, ma è una segnalazione scritta, pubblica, trasparente. “In Italia- scrive ancora il docente- la segnalazione è in realtà un’imposizione , poggia sul potere che il mittente esercita sul destinatario. E in un secondo luogo viaggia sotto un cono d’ombra, è un sussurro che nessun altro dovrà ascoltare. E in Italia, ahimé, la cultura del favore è diventata il senso comune del Paese”. Continuando così, non si troverà più nessuno disposto a scommettere sulle proprie forze.

Dunque, stop ai sotterfugi per arrivare e imporre le proprie capacità. Laddove ci siano. E via al merito.

“Senonché la cultura del merito- scrive Ainis- non è quella di Sparta, che scaraventava da una rupe i suoi figli più deboli. C’è anche spazio per una caring meritocracy, sensibile alle esigenze individuali. E d’altronde il merito è in se stesso solidale, non foss’altro perché reca un’istanza d’emancipazione , di riscatto sociale”.

Per fortuna, di fronte ad un quadro impietoso dell’Italia, il saggista offe speranze. Attraverso un decalogo. La cura, appunto. Una terapia d’urto, perché le regole consuete non valgono durante un’emergenza. E quello attuale è un momento d’emergenza. Se si vogliono buone leggi bisogna bruciare quelle che si hanno, farne di nuove. Con coraggio.

Ma ecco le dieci proposte radicali di Ainis, necessarie a mandare in pezzi la camicia di gesso che frena il nostro Paese ed estirpa ogni soffio di vitalità, la camicia del nepotismo, del maschilismo, del clientelismo, del corporativismo, del favoritismo, dell’affarismo e di tanti altri ismi.

Disamare le lobby, Rompere l’oligarchia di partiti e sindacati, Dare voce alle minoranze, Annullare i privilegi della nascita, Rifondare l’università sul merito, Garantire l’equità dei concorsi, Neutralizzare i conflitti d’interesse, Favorire il ricambio della classe dirigente, Impedire il governo degli inetti, Promuovere il controllo democratico.

Sì, ma a chi spetta rovesciare questo sistema? “Se la delega- conclude- è l’unico strumento che siamo capaci di suonare, tanto vale andarsene in vacanza”. E rivolgendosi ai trentenni: “Se vuoi ribellarti all’ingiustizia , spegni la tv, smettila di far da spettatore. E se almeno un punto di questo decalogo ti sembra convincente, datti da fare, non restartene con le mani in mano. Trasformalo in una proposta di legge popolare, referendum, in petizione collettiva. Magari aggiungici del tuo, le pagine che hai letto non pretendono di essere il Vangelo. Se ci sei batti un colpo”.

A cura di Cinzia Ficco

 
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