| In questi mesi di silenzio ho pensato molto a questo forum di BasketCafè. Ho pensato ai suoi vari protagonisti, a quanto successo nella passata stagione, agli incredibili alti e bassi di un percorso iniziato con circospezione e da subito esploso nell’irruenza e nella sincerità di quanto ho da dire. Ho pensato ai ragazzi visti giocare, alle emozioni che hanno saputo dare, alla loro crescita e a ciò che saranno. E ho capito che mi mancavano, tutti. Mi mancavano i ragazzi, gli spalti sconosciuti, le palestre improbabili, i forumisti più appassionati e anche quelli più stronzi. In questi mesi non si può certo dire che abbia visto poco basket, anzi. Ma continuo a pensare che quello di ragazzi quindicenni sia e resti (per me, intendiamoci) il più puro ed emozionante. Forse perché fotografa un’età che è in realtà una crisalide, un presente in cui tutto è ancora possibile a dispetto di ciò che poi la vita determinerà. E’ per questo che i mesi di assenza e silenzio dei campionati giovanili mi sono parsi oggettivamente eterni, refrattario come sono alle amichevoli e ai tornei dell’amicizia. Mi è mancata la competizione agonistica dei puri di cuore che sono figli di tutti, bravi e meno bravi, e mi è mancato il suono di una sirena che desse il via ad una partita, ad un campionato e anche all’emozione. Come mi è stato di recente ricordato proprio su questo forum, da forumisti che non conosco ma che sento a me vicini per affinità elettive, i campionati stanno per iniziare di nuovo. Io dov’ero? Che strada avevo scelto per me stesso e per il racconto del basket che più amo? L’ho capito con un soprassalto di cuore, indagando in me, su ciò che cerco effettivamente sui campi, e capendo così cosa voglio veramente raccontare. Vedete, si dice che nulla unisca di più gli uomini della condivisione di eventi straordinari come la guerra o lo sport. Si dice che la fratellanza tra uomini diversi nasca e diventi eterna quando la condivisione di obiettivi o princìpi comuni venga superata da qualcosa di più grande, dall’affidare la propria vita ad un compagno che ti corre a fianco e che sa – reciprocamente – che anche la sua vita è affidata in modo cieco e totale ad una fratellanza elettiva, tra compagni riuniti dal caso ma che sono diventati più che fratelli nell’affrontare insieme sfide eccezionali. Io credo che questo sia particolarmente vero in guerra o in battaglia, dove il rischio della propria stessa vita è affidato a compagni che resteranno tali per sempre. Non è più lo stesso nello sport, dove il professionismo ha molto ridotto il senso di appartenenza o l’identificazione nella maglia e nella squadra. Eppure qualcosa di questa epica della indissolubilità della fratellanza resiste ancora negli sport di squadra. Non è più un’epica eterna, non richiama vincoli di sangue indistruttibili, ed è molto limitato a percorsi limitati nel tempo, brevi ed intensi. Ma qualcosa resiste. E’ quello che oggi definiamo semplicemente spirito di squadra, senso di appartenenza, gruppo, ma che in definitiva si richiama a quel tipo di valori e di legami di sangue. L’essere fratelli su un campo di gioco è come le lucciole di giugno. Sappiamo che esistono, ma sappiamo anche che riusciremo a vederle soltanto in alcuni, rarissimi momenti, lì dove l’aria è più pura, dove il mondo sembra fermo, dove la natura è intatta e l’uomo quasi assente. L’essere band of brothers su un parquet è appunto raro come intercettare le lucciole di giugno. Però a volte accade. L’importante è esserci e accorgersene. L’importante è non smettere mai di cercare. Continuare a farlo. Potremo avere fortuna oppure no, ma il senso della ricerca – campo su campo, palestra dopo palestra – è che la ricerca del bello e dell’armonia non può essere pigra né disattenta né superficiale. Bisogna insistere, e non perché sia un dovere o un obbligo o una manifestazione fideistica o fanatismo. Bisogna insistere perché cercare armonia e bellezza nel gioco di una squadra significa in fondo trovare un progetto, una lungimiranza, un senso reale di appartenenza ad un percorso comune che – forse per un anno, forse di più – ha reso dei ragazzi come fratelli. Non mi illudo che sia facile. Non mi illudo neanche che ciò che cerco esista davvero. Però so che voglio tentare, perché confondermi sugli spalti di palestre lontane e sconosciute, stare in silenzio a guardare partite belle e orribili, mi provoca un senso di leggerezza e di appagamento. E quindi questa ricerca non è un peso, è un percorso lieve tra squadre atleti e città differenti ma complici nell’osservanza di alcune regole di base che delimitano il perimetro dello sport. Quali che siano gli effetti collaterali e le ricadute personali, ne vale la pena.
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