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Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 8 Gennaio 2008 - Ore 00:30
Pubblicato su
http://www.lastampa.it in data 4 Gennaio 2008.
di STEFANO SEMERARO
Uomini e Basket
LUCA BLASETTI E L'ALTRA FACCIA DEL BASKET: “Alla prima di campionato, contro il Don Bosco di Genova, il più emozionato ero io. Tanti anni dopo, nella mia città. Mi sono chiesto: sarò all'altezza?”. Qualcuno dei suoi 198 centimetri Luca Blasetti - ala della Sebastiani Basket Rieti di Sojourner, Brunamonti e Zampolini, della Coppa Korac vinta contro il Cibona a Liegi nel 1980 - in campo l'ha perso. Letteralmente. Il cesto adesso lo cerca da più lontano, da seduto. Da pivot titolare della società “A ruota libera” di Rieti, campionato di serie B di basket in carrozzina. Attenzione: Blasetti, classe 1959, non è disabile. È un normodotato. Un “normale”, anche se un po' speciale. Ingegnere alla Micron Technology di Avezzano, alle spalle quattro anni passati in convento fra la fine degli Anni 80 e l'inizio dei 90, sposato con Laura, padre di 6 figli di cui 2 adottati e uno in affidamento (“ma c'è stato un periodo in cui sono stati anche 8”). Per lui sedersi sulla carrozzina e spingere le ruote è una scelta, non una necessità.
“A coinvolgermi - spiega - è stato Paolo Anibaldi, medico chirurgo che due anni fa mi operò alla cistifellea. Disabile, sindaco di Castel Sant'Angelo, atleta, anima della squadra. Ci ho messo un po' a capire che non cercava un dirigente, ma un giocatore. Il regolamento in serie B permette di tesserare anche i normodotati, l'idea mi stimolava molto, gli ho detto di sì. Solo pensavo che avrei giocato fra due, tre anni. Invece l'appuntamento era per il 15 dicembre”.
“A ruota libera” è una squadra ma anche un'associazione, un progetto. Serve per sensibilizzare, per dimostrare che lo sport può essere un terreno comune. “Conosco la realtà della disabilità - continua Blasetti -. Uno dei miei figli è down. Il mio è un approccio molto crudo, detesto i pietismi. Quando ho avvertito Anibaldi che non li avrei sopportati in campo, è scoppiato a ridere. Poi mi sono accorto che il vero disabile, in campo, sono io”. Questione di prospettive. “Parlare di diverse abilità - aggiunge - può sembrare un luogo comune, ma nel basket è così. Da spettatore avevo apprezzato la qualità dei gesti tecnici. Da giocatore ho capito che quello che mi avevano insegnato non serviva”. Il basket in carrozzina è gioco molto tattico. “Ero abituato a guardare palla e uomo, qui bisogna lasciar perdere la palla e ‘curare’ la marcatura. Io me lo dimentico, e mi faccio scappare l'uomo. Poi tendo a tirare in movimento, mentre dovrei prima fermarmi”. Insomma, un mezzo disastro. “Un punto e un paio di rimbalzi nella prima partita. Ero spaventato. A Imola, nella seconda, è andata meglio: 4 punti e altri 2 rimbalzi. Mi sono sciolto, ho riscoperto l'incazzatura per la sconfitta, le cene a riso in bianco prima della partita. E la gioia pura di giocare a basket”.
Una gioia che fra il 1986 e il 1987, dopo un paio di campionati da grande promessa e una convocazione nella Nazionale di Sandro Gamba, era evaporata. Un anno di noviziato presso i frati francescani, tre a studiare teologia, i voti temporanei e poi di nuovo nel mondo. “Non è stata una protesta, solo che nello sport sentivo di aver raggiunto il massimo. Avevo voglia di cambiare vita radicalmente”. Vent'anni dopo, lo sport mescola professionismo esasperato e il caso Pistorius. “Lo sport mi piace sempre, rivedere Rieti in serie A mi emoziona. Oggi però mi sembra tutto troppo condizionato dai soldi. E autoreferenziale: la gente capisce poco, forse si annoia anche. Io ero studente, per andare ad allenarmi prendevo il tram insieme a Pino Di Fazi, che faceva il bancario. Due dopolavoristi, e giocavamo in serie A. Oggi hanno il procuratore anche in C2. Pistorius? Se è vero che le protesi attuali lo avvantaggiano, dobbiamo trovare la soluzione per consentirgli di gareggiare insieme ai normodotati. Non è retorica. Lo sport può essere un terreno di incontro. Se fossimo capaci di organizzarci una società decente, il 50 per cento dei problemi legati alla disabilità scomparirebbe”.
A 48 anni, il pivot Blasetti a che traguardo punta? “Io a divertirmi, la squadra alla promozione. Scherzando dico che mi dispiacerebbe, perché in A i normodotati non possono giocare (in A2 ne è concesso uno a referto, forse presto sarà così anche in A1, ndr), ormai ci ho preso gusto. Però questa è la ‘A ruota libera’, non la squadra di Blasetti: io sono il più scarso di tutti. Se pensate che in Italia di squadre di basket in carrozzina ce ne sono 40, averne una in una piccola città come Rieti è davvero una gran cosa”.
http://www.roseto.com/news.php?id=5588Ciao ragassuoli!