| Prendendo spunto dalla testimonianza di “alonzo01”, che ha visto risolta una partita al cardiopalmo con una tripla realizzata a 30 secondi circa dal suono della sirena, e da quella di “ZioIvanPV”, che ben rileva quanto sia stata determinante la “percentuale altissima” prima e la “precisione in attacco” poi, per determinare il risultato della partita, un pensiero è stato inevitabilmente rivolto a quanto sia importante saper esprimere una dote di tiro per essere competitivi. Naturalmente, il pensiero seguiva una riflessione già fatta sulla mia squadra del cuore. Poi, ieri sera, ho avuto l’occasione di assistere ad una partita del girone 3 della TOP U18. Una brutta (ma davvero brutta) partita, magistralmente diretta da un arbitro incapace e, solo per questo, accreditabile di buona fede. A parte questo, anche in questa occasione ho potuto rilevare una grande imprecisione al tiro. Quindi, approfittando dell’isolamento mistico dato una pausa pranzo consumata nel baretto vicino allo studio in questa giornata uggiosa, un nuovo pensiero mi ha colto: serve davvero tanto altro, se si ha un ottimo tiro fra le proprie abilità? La risposta sembra scontata, ma invero è una vexata quaestio, oggetto di discussione anche tra i santoni della pallacesto. Vi è infatti chi sostiene che l’abilità fondamentale del giocatore sia il palleggio, chi il passaggio, chi il rimbalzo,chi, appunto, il tiro. Altri si spingono oltre ed affermano che l’abilità fondamentale del giocatore debba essere l’abilità difensiva, altri la comprensione tattica del gioco, altri ancora il carattere. Tra gli amici, molto più prosaicamente, prevale l’idea che, alla fine, vince chi realizza un punto in più dell’avversario e, dunque, sia inequivocabilmente il tiro. In fondo, è possibile ammettere che è inutile predicare geometrie esistenziali (cit. Franco Battiato da “Gli uccelli”, 1981), postulati di collaborazioni ancestrali (cit. Charles Robert Charles Darwin da “L’Origine della specie”, 1859) e lavorare di cesello su ogni movimento (cit. Marco Vitruvio Pollione da “De architectura”, 15 a.C.), se poi si ha un tiro inefficace. Infatti un tiratore costringe ad accoppiamenti difensivi ed impone scelte tattiche che potrebbero costringere una squadra a difendere come non vorrebbe o come non è abituata. Personalmente, lo dico, non sono d'accordo, ma riconosco che il tiro o, meglio la formazione sul tiro, viene sotto valutata e, per moltissime ragioni si investe molto poco tempo nel tiro, almeno ai livelli dei campionati regionali. Intanto, per inciso, ritengo che sia corretto riferirsi al tiro con rimando ai cosiddetti tiratori “credibili”, in quanto affidabili (perché costanti nella capacità realizzativa), attendibili (perché rispondono a percentuali di realizzazioni attese nell’unità di tempo riferibile) e certi (perché seguiti e formati). Per gli altri, i cosiddetti “bravi” tiratori, ritenuti tali perché realizzano tanti punti (spesso neanche tanti), a fronte di mille opportunità di tiro e badilate di minuti di gioco concessi, la credibilità attribuita non è oggettiva ma soggettiva e trova la sua ragione in una condizione di anticipazione di credibilità, spesso fondata sulla fiducia data dal coach in risposta ad una contingenza di gioco o, peggio, determinata dall’incapacità dello stesso coach di risolvere la contingenza emersa con una strategia di gioco. Quelli che segnano punti, al di là di ogni considerazione ed evidenza, sono solo i tiratori credibili. Per contro, su una cosa sono tutti d'accordo, sia i santoni sia gli amici: tiratori credibili non si nasce, lo si diventa. Senza dubbio, posso testimoniare che la cosa che differenzia me dai leggendari tiratori citati in questo forum tra i giovani atleti siano le ore di lavoro. Non è un’opinione, è scientificamente provato. Si tratta di anni di lavoro, ora dopo ora. Null’altro. Ma, a questo punto, quanto serve per “costruire” un tiratore credibile. In questi anni mi è capitato di leggere in ogni dove (pubblicazioni e riviste) più e più teorie, quasi sempre condivisibili od, almeno, ragionevoli. Un punto comune a tutte è la considerazione che servono dai 1200 tiri settimanali (scuola europea) ai 1500 tiri settimanali (scuola americana) per incrementare sensibilmente le proprie percentuali di tiro. Hai detto niente! direte voi (#’sticazzi). E’ qui sta proprio il problema. Senza entrare nei casi specifici, è possibile riconoscere che ogni allenamento di livello medio giovanile regionale (riconosciuto che diverse sono le risorse e l'organizzazione delle società che gravitano nelle divisioni nazionali giovanili di eccellenza), dura in media un’ora e mezza. Per contro, ogni seduta è necessariamente composta dalle varie fasi come attese dalla Federazione e non tutte queste includono l’uso della palla e non tutte queste prevedono l’esercizio del tiro. Se poi si considerano i tempi di inattività sull’esercizio o quelli in cui l'atleta è impegnato a difendere, il tempo che rimane utile al tiro è davvero poco. Detto questo, ma si potrebbe aggiungere altro, è possibile riconoscere che un giovane atleta in ogni allenamento riuscirà a tirare 30 volte, forse 40 volte nella più rosea previsione. Dunque, in un contesto ordinario dove si svolgono tre sedute settimanali di allenamento da un’ora e mezza ciascuna, ogni atleta può avere circa un massimo di 120 occasioni di tiro (stima evidentemente euristica). Appare evidente che la soglia dei 1200 tiri settimanali attesi sia piuttosto irrealizzabile. Per contro, anche in realtà differenti, sempre a livello giovanile, ma considerate di eccellenza, il lavoro sul campo si attesta in una media di 4 ore al giorno, per 6 sedute settimanali, capaci di concedere circa un massimo di 480 occasioni di tiro (stima, anche questa, evidentemente euristica). E’ dunque evidente che in questo contesto gli atleti possano migliorare ed ottenere prestazioni migliori in campo. Dunque, posta corretta l’attesa di almeno 1200 tiri settimanali, necessari per la “costruzione” di un tiratore credibile, occorre che un atleta vada al campo a tirare, da solo, oltre il tempo dell’allenamento. Per contro, è altresì necessario che i tiri non siano solo tanti, ma anche di qualità, ossia pensando ai consigli tecnici dell’allenatore, impostando il corpo e governando il gesto. In estrema sintesi, la differenza sta tutta in quel tempo, nel totale dei tiri scoccati ogni settimana. Appare triste pensare che la differenza fra chi diverrà un tiratore credibile e chi no sia legata ad un numero, ad un tempo a disposizione, ma è così. Per diverse ragioni e differenti circostanze, ho avuto l’occasione di vedere ragazzi lavorare sul tiro in palestra e tirare fino a sera o sotto la pioggia nei campetti all’aperto, segnando su di un libricino i tiri fatti e quelli realizzati, per capire meglio come lavorare per migliorare, perché non è pensabile che si possa migliorare qualcosa senza misurarlo e senza avere un piano da rispettare, e, non ultimo, per avere un stimolo a fare meglio. Dunque, serve davvero tanto altro, se si ha un ottimo tiro fra le proprie abilità? Una risposta univoca non c’è l’ho, ma un’idea me la sono fatta. Un ottimo tiro è un’abilità se è un tiro credibile, altrimenti è solo un attributo. Pausa pranzo finita.
Nota: ammesso che ho raggiunto l’apice delle mie abilità mangiando le girelle srotolandole, non rispondo della sensatezza di quanto detto.
Edited by Stid - 11/10/2018, 14:34
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