| Diamondt, ti assicuro che mi hai frainteso, La mia non era ironia a buon mercato, ma un sincero apprezzamento. Quella che ho definito la tua incontentabilità sicuramente mi diverte, ma avevo capito perfettamente che deriva da un rigore e da un amore per il bel giocare tecnico che è anche il mio. Quando riepiloghi tutto ciò che oggi è manchevole nell'addestramento e quindi nella tecnica dei ragazzi, mi trovi pienamente concorde. Diciamo che la mia ... cifra stilistica è molto difforme dalla tua (nel senso che mi dilungo e mi sbrodolo spesso e volentieri come un ippopotamo nel fango), ma io amo le diversità stilistiche in tutte le sue forme e quindi anche in questi nostri modi di relazionarci rispetto a ciò che vediamo in campo. Tu sei sintetico e stringato, io sono un oppiomane della parola scritta... Ma va tutto bene. Dove invece non sono d'accordo con te è quando dici che di proposito non ti soffermi sui singoli perché attribuisci maggiore importanza al miglioramento del gruppo. Io non credo che questo sia giusto, io credo che dei singoli si debba parlare e si debba farlo con nome e cognome. Lo si debba fare dei giocatori, degli allenatori, degli arbitri, insomma di tutti i protagonisti che a diverso titolo scendono in campo. Ho già avuto modo di dirlo, ma voglio ribadire chiaramente il concetto. Quando un atleta indossa una maglietta e scende in campo, quando un coach allena una squadra, quando un arbitro indossa la sua maglietta grigia, tutti questi soggetti, e dico TUTTI, sono perfettamente consapevoli che sono attori di uno spettacolo pubblico, dove saranno osservati e giudicati da una pluralità di pari. Non vedo quindi perché io o chiunque altro non si debba dire che il giocatore x o Y ha fatto bene, o farebbe meglio a fare il fornaio, o arriverà in NBA. I giocatori , in particolare, hanno un'aspirazione legittima, essere tutti dei LeBron. Probabilmente nessuno di loro ci riuscirà mai, ma è possibile che qualcuno di loro continui il suo percorso crescendo d'età. E se e quando questo avvenisse, sarà sottoposto alle pagelle dei giornalisti, alle critiche sferzanti dei media, ad un'analisi continua e impietosa di ogni suo gesto tecnico ed atletico. Allora mi chiedo: perché mai, a 14 o 15 anni, questo tipo di analisi deve essere silenziato e sottoposto ad oscuramento? Molti rispondono: si tratta solo di ragazzi, lasciamoli giocare e maturare in pace, senza stress. Far rilevare i loro nomi è un errore perché li si espone all'attenzione pubblica con troppo anticipo. Poniamo l'attenzione sul gruppo, parliamo delle squadra e basta etc etc. Io sono convinto che questa sia ipocrisia bella e buona. Non solo, sono anche convinto che non serva a niente ed esprima un bigottismo critico, innervato con buonismo d'accatto, che è tipico delle civiltà latine come la nostra. Poiché ogni scarrafone è bello a mamma sua, è bene che ogni scarrafone non prenda sberle in pubblico per ciò che fa o non fa in campo... Vedi, quello che molti dimenticano è che non siamo più negli anni 70, siamo nell'epoca dei social, dove le forme di comunicazione non sono più veloci, sono ISTANTANEE. Evitare di parlare dei singoli, sarebbe come voler trattenere il mare con un lenzuolo. L'acqua della comunicazione trasborda da ogni dove, va ovunque, è inarrestabile, e questo i ragazzi lo sanno molto meglio di noi. Se io mi astenessi dal dire che l'arbitro X è stato un incapace o il giocatore Y ha sbagliato completamente la partita, cosa cambierebbe nel grande fiume globale della comunicazione? Credi davvero che il giocatore Y non apprenderebbe altrove che ha giocato da schifo? Ciò che intendo dire è che analizzare una partita anche enucleando le singole identità dei giocatori che sono stati più significativi in quella gara, nel bene come nel male, è UTILE, non è nocivo. Il ragazzo fragile sicuramente accuserà il colpo, ma io mi chiedo (forse cinicamente, non lo nego, ma realisticamente), quel ragazzo che non regge le critiche potrà mai avanzare in un percorso tecnico serio? No, non lo credo. Sai, ricevere delle lodi sperticate fa piacere a tutti, sentirsi fenomeni per un giorno o due è grandioso, ma fare i conti con un'analisi seria, imparziale perché non ha secondi fini, ma critica in modo analitico, servirà soprattutto a quei ragazzi che si sentiranno chiamati in ballo con nome e cognome e capiranno, altroché se lo capiranno, che effettivamente possono e devono migliorare nelle aree di deficienza che vengono individuate. Quelli di loro che riusciranno a farlo perché punti nell'amor proprio e nell'orgoglio, saranno sicuramente i ragazzi che andranno avanti, gli altri, mi spiace, no. In questo percorso, purtroppo, i veri pericoli , come ben si sa, sono i genitori, ma - come ho detto - noi viviamo in una società latina, forse più vicina ai bizantinismi mediorientali che al rigore sportivo dei paesi anglosassoni. L'occultare nomi e cognomi risponde secondo me ad una visione privatistica dello sport, ma i genitori dimenticano sempre che i loro figli non stanno più facendo ginnastica in palestra con il professore di educazione fisica, sono in campo con dei numeri e dei cognomi che ormai sempre più spesso portano anche sulle magliette di riscaldamento. Qualcuno si è mai chiesto perché questo accade? Accade perchè in una società estremamente massificata, lo sforzo maggiore dei ragazzi sta nel conquistarsi un'identità propria, una riconoscibilità che sia solo propria. E questo passa da youtube così come dal grande fratello così come dai campi di calcio e di qualsiasi altro sport. Illudersi di tutelarli omettendo i loro nomi non è solo sbagliato perché diseducativo, perché non insegna un'assunzione di responsabilità, ma perché NON E' QUELLO CHE LORO STESSI VOGLIONO! Gli adolescenti che fanno sport sono gli stessi che navigano in internet e chattano con il mondo e postano i loro video su youtube. Ma perché crediate che lo facciano, per giocare ai soldatini?? Lo fanno perché aspirano ad avere un'identità pubblica, dove l'unità di misura è data dai followers e dove loro siano RI-CO-NO-SCI-BI-LI. La loro identità è tutto, è la chiave d'ingresso nel mondo degli adulti, e negargliela per un malinteso senso di protezione risponde solo alle paure dei genitori, non alle loro.
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