| Una strana sensazione mi avvolge da qualche ora: Marco Donelli non c’è più. Non servono parole per spiegarla a chi, come lui, ha passato una vita nella pallacanestro genovese, o anche per quelli che sono stati con lui per poco tempo. Difficile invece raccontare a chi non lo conosceva. Alcune sue chiamate hanno fatto arrabbiare generazioni di cestisti e scatenato le proteste di eserciti di allenatori, e le sue celebri domande ad ogni riunione hanno strappato più di un sorriso sarcastico a colleghi impazienti di lasciare la sala. Forse lui si considerava fra i migliori arbitri: aveva la presunzione, qualità imprescindibile in chi dirige, di riuscire a pescare il fischio giusto. E, talvolta più spesso di quanto si addirebbe a un buon arbitro, non era così. Ma a modo suo era fra i migliori: l’impegno, la voglia, l’entusiasmo, la passione, la correttezza morale e l’imparzialità di Bobby Jones, suo storico soprannome, sono fuori da ogni dubbio, e ne hanno fatto un personaggio amato al di là del valore espresso con un fischietto in bocca. Lui c’era, sempre, a qualsiasi riunione in ogni angolo della Liguria; se saltava fuori una partita da coprire all’ultimo momento, dalle giovanili alla più amatoriale gara di promozione, prendeva e partiva. Il suo vanto era superare abbondantemente le cento direzioni a stagione, un’enormità se paragonato all’attività media di un arbitro normale. Quando non era in campo in maglia grigia, sbucava sugli spalti nel match clou del fine settimana: salutava tutti, dispensava consigli più o meno richiesti ai colleghi più giovani o critiche e osservazioni quantomeno originali agli addetti ai lavori. Un sorriso, una pacca sulla spalla, un “ciao, come va?”: non importava quali e quanto dure discussioni/litigate potevi averci fatto la gara prima, lui arrivava e ti salutava. Facebook, questo nuovo mondo che aveva scoperto da pochi mesi, aiuta a capirlo un po’ meglio: “Tifo Cantù, Sixers, Brasile e..McLaren...se non vi piace che mi frega?”. Imperversava con link e commenti sulle sue grandi passioni, musica e Sampdoria: l’ultimo pensiero, prima di una lista di saluti che si allunga ad ogni ora che passa e del gruppo prontamente fondato per ricordarlo, dedicato proprio ai blucerchiati. “Stasera guardo la partita, speriamo di non portare jella alla mia squadra.! Buona serata a tutti”. Stranamente, giovedì mattina solo due commenti all’indomani della sconfitta in Coppa Italia. Poi un silenzio lungo tutta la giornata, rotto nel peggiore dei modi: uscito dal lavoro, solo il tempo di attraversare la strada prima del fatale malore. Di certo, non era questo il desiderio espresso soffiando sulle candeline dei 40 anni compiuti da poco: ciao Marco, da oggi il piccolo puzzle del basket sotto la Lanterna ha perso un pezzo unico, e nelle nostre palestre si è creato un vuoto che difficilmente riusciremo a occupare.
Federico
PS: so che se da lassù riuscirai a leggere queste righe, probabilmente avrai qualcosa da ridirmi, diretto, schietto e sincero come tutti i tuoi comportamenti…non avrei mai pensato di scrivere questa cosa, ma ho proprio paura che il nostro amato basket sentirà la tua mancanza...
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