Il
post dell’eliminazione è un rito che va celebrato, ne avrei fatto volentieri a meno, ma oggettivamente solo un’incrollabile fede poteva credere in un esito diverso per l’impari sfida con Rieti. Siamo usciti senza troppa gloria, ammettiamolo, cedendo di schianto al primo allungo degli avversari, senza ombra di dubbio la squadra più forte vista al PalaBasletta quest’anno, per talento offensivo più forte anche della Montecatini che ci batté, più o meno alla stessa maniera, lo scorso anno.
A voler vedere, i segnali premonitori c’erano tutti: siamo usciti da gara-1 battuti e contenti, loro vincenti e incazzati: con queste premesse, in che altro modo poteva finire ieri sera? Siamo arrivati a questi playoffs con merito, ma grazie ad una fortunata combinazione di eventi. Abbiamo giustamente cercato di sfruttare l’entusiasmo giocando sopra le righe in gara-1, approfittando anche di un momentaneo appannamento della Tris, ma il diverso atteggiamento scaturito dopo la partita del PalaLoniano era indicativo delle ambizioni degli uni e degli altri. E quando alla forza oggettiva si uniscono le giuste motivazioni, la generosità e l’orgoglio non bastano.
Abbiamo perso, siamo fuori; non ne facciamo un dramma, ricordando che alla penultima di campionato eravamo sull’orlo del baratro, e oggi comunque ci siamo giocati una serie playoffs tutto sommato dignitosa. L’ultima recita non è stata il massimo, ma la legge dei playoffs è che non importa di quanto vinci e di quanto perdi, se giochi bene o male, conta solo andare avanti.
Siamo in vacanza, anche noi tifosi, e adesso, dopo la stanchezza e il riposo, verrà il tempo delle riflessioni e dei sogni.
Una riflessione la faccio subito, e a caldo, e riguarda proprio i tifosi. La squadra aveva i suoi limiti, e ha commesso molti errori, ma non sempre è stata supportata a dovere. La sintesi di una stagione tormentata si è avuta ieri, quando
Alessandro Michelon è stato, suo malgrado, elevato a simbolo delle lacerazioni e delle contraddizioni di un ambiente che per tutto l’anno ha vissuto sull’orlo di una crisi di nervi. Quanto abbia influito questo clima sul rendimento della squadra, nessuno può dirlo, anche se ognuno avrà la sua teoria.
Quello che mi preme sottolineare adesso è che in questo contesto assume un enorme significato il gesto di coach
Garelli, che a un minuto dalla fine di una partita che non aveva più nulla da dire, ha reagito all’ennesima inutile e provocatoria contestazione dei soliti noti richiamando Michelon in panchina al solo scopo di fargli tributare un’ovazione da parte della stragrande maggioranza del pubblico, che grazie a ciò ha potuto dire che questa squadra è stata amata, nonostante le sconfitte e gli errori. In quel momento, questa scelta umana prima che tecnica, valeva più di una vittoria, ed è così che voglio ricordare il finale di questa tormentata stagione, con questo messaggio positivo che è insieme ringraziamento e speranza.
Alla fine di tutto, dopo il bagno di calore, dopo il trambusto e le emozioni, dopo la festa dei tifosi reatini e lo psicodramma ducale, non rimane che salutare gli amici con cui si è condiviso un altro anno di ardente passione, e darsi appuntamento per la prossima stagione. È tutto un po’ strano, si vorrebbe avere più tempo per abbracciare ciascuno di loro (ormai, grazie anche al forum, sono tantissimi quelli che conosco e mi conoscono). Dopo la botta d’adrenalina, si fa fatica a pensare che tutto finisca così, in un istante.
E allora mi viene in mente un proverbio che proprio ieri ho sentito alla radio, e che mi è rimasto impresso perché viene dalla Patagonia, la terra del Nacho, sterminata e fredda, dove l’uomo è una presenza sporadica. Dice:
CITAZIONE |
“Sia benedetto il vento, perché quando il vento finisce, rimani solo ad ascoltare il tuo silenzio”. |
Ed è proprio così che mi sono sentito, placato il fragore del palazzetto, quando sono salito in auto e per l’ultima volta ho imboccato la via del ritorno a casa.
E adesso?
Non perdiamoci di vista.