| Tra pochi minuti, o forse tra qualche ora, durante la notte, Band of Brothers 2018/2019 farà un minuscolo saltino in avanti, l'ennesimo, e come per incanto il counter delle sue visualizzazioni avrà superato il numero del mezzo milione. 500.000 visualizzazioni in circa 8 mesi e mezzo sono un record assoluto per questo forum di Basket Café. Non avrei mai pensato che saremmo arrivati così in là. Non avrei mai pensato che un'idea di indipendenza di giudizio e di libertà d'espressione avrebbe prodotto un simile risultato. Stanotte però non ho voglia di fare analisi, né di articolare interpretazioni, né di formulare giudizi su questo dato. Lo lascio lì, immobile, a parlare da solo, a testimoniare ciò che è. Quest'anno ho litigato con molte persone, ne ho duramente criticate altre, ho espresso giudizi severi. Ho dovuto sostenere polemiche anche molto accese e rispondere a battaglie spesso strumentali che nascevano anzitutto da un astio profondo nei miei confronti per quanto scrivevo, osservavo, raccontavo in assoluta libertà. 8 mesi fa, quando ho aperto il Band of Brothers di quest'anno, ho scritto queste parole: "Il mio impegno, il mio dettato morale che rinnovo con Band of Brothers del 2018/2019, è anzitutto di essere onesto e mai prevenuto, di raccontare solo ciò che avrò visto con i miei occhi e di ascoltare con attenzione quanto avranno da dire tutti coloro che su questo thread decideranno di dire la loro."
Non ho mai contravvenuto a questo codice morale, né ho mai trasgredito al contratto ideale che mi lega ai lettori di questo thread. Ho sicuramente commesso degli errori, ma mai con un secondo fine o consapevolmente per motivi strumentali. Quando ne sono stato consapevole, li ho ammessi e ho chiesto scusa. Non credo che nessuno dei mie detrattori lo abbia mai fatto, e questo da un lato mi inorgoglisce e dall'altro mi conferma la loro caratura. Ma non è questo che mi interessa, non mi sono mai occupato molto della polvere che le mie scarpe alate raccolgono durante la corsa. Mi hanno aiutato a spostarmi da un campo ad un altro, da una partita ad un'altra, e le ho ripulite senza rimpianti né rancori delle brutture che raccoglievano lungo la strada. Ho raccontato lo sport per come so farlo, con i miei limiti e i miei mezzi. Da solo, perché sono un animale selvatico che non ama nè la compagnia né i branchi, e in assoluta libertà d'espressione. Quest'anno forse per la prima volta ho parlato moto di allenatori, capaci ed incapaci, e ho deciso di farlo coscientemente, a mente fredda, perché sono davvero stanco di vedere tanti ragazzi rovinati da coach improvvisati, senza meriti e senza capacità, il cui unico titolo è essere arrivati a sedere su panchine che non meritano e delle quali non sono degni e che da lì distruggono invece che costruire. Nei loro confronti il mio sdegno, il mio livello di sopportazione ha veramente raggiunto il massimo livello e ho creduto fosse giusto dar voce a tutti coloro che pensavano- senza poterlo dire - quanto io ho scritto. Contemporaneamente, ho scritto anche di una manciata di coach, bravi davvero, che rendevano onore alle proprie squadre e ai propri giocatori con le loro capacità tecniche e di leadership. Sono fiero di averli segnalati, così come di aver giudicato severamente chi non era degno del suo ruolo. Due anni fa andai in Abruzzo a vedere le finali nazionali under 16 che si tenevano nelle location di Vasto e Ortona. Faceva un caldo terribile, i palazzetti erano dei forni deserti. Spendevo un piccolo patrimonio in bibite per non disidratarmi. A un certo punto il barista mi chiese:"In che squadra gioca suo figlio?". E io risposi: "Non ho nessun figlio qui a giocare". Lui allora mi allungò l'ennesima bibita di giornata:"Questa allora gliela offro io". Qual è la radice dalla quale nasce la passione? Cosa ci spinge ad amare uno sport al di là degli affetti familiari? Non ho queste risposte. Non ne ho di assolute ma forse soltanto di personali, e come tali non credo che interessino nessuno. Però una cosa credo di saperla. I numeri di Band of Brothers traggono origine dal sogno irrealizzabile e imperfetto che ogni figlio sia un campione e che qualcuno ne descriva le gesta. Che in ogni squadra e in ogni partita vi sia il gesto di quel ragazzo che meriti di essere raccontato, perché è nella descrizione della sua bellezza che si compie il riconoscimento della sua identità. Forse l'unica cosa che cerco davvero di fare è raccontare un futuro possibile, ma improbabile, che si compie nell'oggi, nel momento del gesto tecnico. E' stabilire un percorso della memoria che poi ci aiuti negli anni a rintracciare la felicità, che si compie inconsapevole. E' far sì che tra 10 anni o 20 o 30 quei genitori possano ricordare di come erano felici nel vedere i propri figli giocare.
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