| Ciao “p028374”, l’argomento è molto interessante. Riprendo un tuo dubbio su “questa storia della prima squadra”. Questa storia ha radici lontane nel tempo ed una sua logica, che ammette e pretende (a termini di regolamento) un impegno significativo da parte di quelle società che, in ragione della loro militanza nelle serie professionistiche, hanno (o dovrebbero avere) maggiori risorse economiche, strutture consolidate, organizzazioni strutturate, competenze di eccellenza e innegabili capacità di reclutamento. Il principio, condivisibile o no, è stato quindi esteso e, per estensione, viene oggi riconosciuta una maggiore “capacità” a chi governa una società che milita in C, rispetto ad una in D, ed a quest’ultima, rispetto ad una di promozione. E così a seguire. E’ un principio valido? In assoluto no, ma, preso atto che il movimento cestistico è caratterizzato da realtà, diciamo, molto “dinamiche”, la cui sopravvivenza, se non esistenza, viene confermata oramai di anno in anno, è un principio oggettivo. Forse debole, ma oggettivo. Il principio, poi, riconosce il fatto che la compagine di squadra cambia di anno in anno e che, spesso, il talento emergente subisce il fascio della maglia prestigiosa ed a questa si accompagna. Ragion per cui, per le società minori è difficile pretendere il riconoscimento di un progetto fondato sul risultato contingente del gruppo. Mortifica ciò la legittima aspirazione della società di vedere riconosciuto il lavoro da loro svolto? Forse, ma non è un problema per il “movimento, tutt'al più un’ingiustizia per la società. Semmai, il problema nasce quando queste società di prima fascia, per una serie di motivi tutti validi e nessuno valido, non hanno o non possono permettersi un reale interesse d’investimento nel settore giovanile. Oggi, è cosa nota che permanere con dignità nelle categoria di prima fascia richiede un impegno che, ad eccezione di poche realtà in generale e di una in particolare, è al limite delle capacità, economiche e non solo, delle società partecipanti. Basti pensare che non è raro che società promosse rinuncino al campionato a cui hanno diritto, perché incapaci a fare fronte al nuovo e gravoso impegno. Questo limite è altresì riconosciuto nei confronti delle società non professionistiche promosse al Campionato professionistico, per le quali è consentita la rinuncia senza sanzione (prevista invece per le società professionistiche). Dunque, riconosciuti i diritti acquisiti sulla base delle disposizioni organizzative annuali, a colmare l’ordine della partecipazione è l’invito concesso con lo strumento della “wild card” ed, in ragione di quanto sino ad ora detto, la “storia della prima squadra” ha un senso e trova una sua giustificazione. Da qui la questione di merito. Tu mi dirai, ma allora, se ho una squadra molto competitiva che, tuttavia, non appartiene ad una società di prima fascia, è quindi svantaggiata. Sì. Altro potrebbe essere il progetto di una Academy, che vede la condivisione di risorse tra società diverse, che, se supportato da almeno una società di prima fascia e da un impianto con strutturazione pluriennale, ottiene una diversa attenzione, indipendentemente dai risultati ottenuti sul campo. Per come la vedo io, ogni formula di composizione dei campionati trova una sua ragione nel disperato tentativo di dare una soluzione ai difetti che l’organizzazione del campionato precedente ha manifestato, ma, allo stesso tempo, un suo limite quanto questa ha la pretesa di risolvere i problemi più generali del movimento cestistico. Questione questa molto più complessa. Dunque, per rispondere a “forza cuncuress”, i “cari vecchi spareggi a settembre” potrebbero essere un sistema più giusto, anche perché vedrebbe riconosciuto il gruppo che effettivamente si presenterà alla griglia di partenza del campionato a cui intende competere. Per contro, la soluzione sarebbe contingente e contraria al principio qui descritto. Invero, il movimento ha bisogno di cambiamenti radicali, altrimenti ogni formula, per quanto valida, tampona una circostanza e soddisfa un’idea episodica, senza che questa sia fondata su un progetto realmente condiviso. Posto che questo è il migliore luogo per cicalare, lancio una provocazione. L'organizzazione del settore giovanile non può che nascere da una rivoluzione del settore professionistico che dovrebbe allontanare l’interesse privato (la Lega) da quello pubblico (la FIP). La lega dovrebbe essere l'espressione di un campionato chiuso, ossia senza promozione o retrocessioni, dove la presenza sia determinata da un’organizzazione in franchigie che non hanno né debbono avere un settore giovanile. Ciò potrà garantire una reale programmazione degli investimenti ed una maggiore reperibilità delle risorse, anche a società relativamente piccole e penalizzate dal rischio di un’alterna militanza nella serie professionistica. La FIP dovrebbe governare il mondo dilettantistico e quello giovanile, il cui approdo potrebbe concretizzarsi in un passaggio obbligato ad una lega giovanile (U20?) di transizione al professionismo, del tutto simile alla strutturazione della NCCA, governata da Società che si dovrebbero qualificare solo a tale fine e raccogliere i giovani che, per caratteriste e qualità, potranno quindi essere proposti al mondo del professionismo. Alle le altre società rimare l’onere e l’onore di coltivare i propri giovani, senza il patema del reclutamento e dell’esercizio del vincolo sportivo. Per queste, mancata l’occasione per proporre un proprio giovane alla “Lega” giovanile, rimarrà la possibilità di dare sostanza alla propria prima squadra dilettantistica che, organizzata per divisioni, potrà competere per il titolo italiano dilettanti. Né più né meno. A questo punto, la compostone del campionato dei ragazzini sarebbe libera da ogni tipo di condizionamento, perché tra pari è il solo risultato ottenuto sul campo che differenzia. Questa mia è frutto della pausa pranzo, davanti ad un piatto di lattuga ed una triste mozzarella (non ho passato la prova costume e, rimandato, sono in piena fase di recupero dei debiti), consapevole che il forum è come un film di Tarantino in cui tutti parlano del niente, poi uno spara un colpo di pistola e scoppia il delirio. Il lavoro chiama. A presto
Nota 1: se la provocazione vi sembra strana, sappiate che il mio pensiero è molto più drastico … 1) abolizione del vincolo sportivo ed introduzione dei crediti di formazione; 2) inserimento della pratica sportiva nella struttura scolastica, con una riorganizzazione partecipata pubblico/privato, del tipo nord americano 3) rigetto di una marea di realtà dilettantistiche, costituite e dirette da brava gente, ma che non servono al movimento, anzi … ma qui mi fermo, altrimenti potrei essere arrestato per associazione sovversiva (ho già qualche seguace, ve lo dico). Per queste serie questioni, ci vuole un tavolo, sedie comode, un lume di candela ed almeno un paio di bottiglie di Château Pétrus, annata 2008 Nota 2: La BLU è una una squadra di prima fascia (Remer Terviglio) con risorse, organizzazione e prestigio proprie di una squadra di prima fascia, con in più una storia di oltre quarant'anni di basket alle spalle. Nel milanese non vi sono realtà comparabili, se non nell'Urania che, però, ha minori risorse, capacità organizzative e fascino, soprattutto in un territorio normalmente apatico verso ogni progetto che non produca un guadagno diretto ed immediato. Inoltre, Milano ha visto scomparire società storiche , comparirne di nuove e sopravvivere quelle che ancora oggi spolverano il proprio blasone, ma in una stanza vuota e priva di sole. Ognuno ha il proprio orticello, che crede un regno e su cui vuole essere sovrano. E se ne compiace.
Edited by Stid - 26/6/2018, 14:30
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