| FINAL FOUR Giusto per dire la mia
In merito alle finali di questo campionato U16 élite, devo ammettere che ho sbagliato due risultati su due alle semifinali, dando vincenti sia il Milano 3 sul Curtatone (e, sorbole, quasi quasi l’azzeccavo), sia il Bollate sul Malaspina (un classico errore under/over e risultato mancato per un soffio), ma ho visto lungo sui risultati delle finali. Sulla vittoria del Milano 3 ha più valso la ragione del cuore, che il senso della ragione, mentre, sulla finalissima, avevo puntato un caffè (invero, in gioco ci sono stati ben 7 caffè) su una safe bet: Curtatone vincitore!. Il Malaspina ha ragazzi capaci, dotati fisicamente e provvisti di una discreta tecnica di gioco, grandi atleti e buoni giocatori (taluni più, talaltri meno). Per alcuni (ex Olimpia ed ex Urania), poi, ho una simpatia personale, che m’impedisce di parlarne e rende ogni mio possibile giudizio un pregiudizio. Il Curtatone, pure. Dunque, ammettere la possibilità di una vittoria certa è, nei termiti, un azzardo, ma è possibile riconoscere che il Malaspina non è capace di vincere se non ha una possibilità di appello. E’, in sintesi, una sqadra da campionato, non da play-off. Tra il vincere ed il voler vincere un play off vi è ancora una differenza, che non può essere semplicemente risolta da un esercizio cognitivo. Il problema è la gestione del gioco, che non ammette errori. E la gestione del gioco è compito della panchina. “ Uno non è un grande allenatore quando fa muovere i giocatori secondo le proprie intenzioni, ma quando insegna ai giocatori a muoversi per conto loro. L’ideale assoluto avviene nel momento in cui l’allenatore non ha più niente da dire, perché i giocatori sanno tutto quello che c’è da sapere.” (cit. Julio Velasco) Vero, ma, a livello giovanile, i ragazzi non possono sapere quello che c’é da sapere. E’ l’allenatore che governa il gioco e le sue intenzioni condizionano inevitabilmente il risultato. Ed è proprio qui, che il Malaspina è debole. In una partita senza appello, bisogna essere capaci di leggere il gioco e non di guardare la partita. Prendere decisioni immediate e risolutive, non attendere che le cose cambino. Il gioco del Malaspina è fondato su comportamenti prevalenti (semplificando, si può dire che … noi si gioca così, a prescindere di come giochino gli altri), che non ammettono la possibilità di cogliere l’errore nella propria azione, perché, a giustificazione dell’errore, c’è sempre un motivo che, di volta in volta, lo si può individuare nell’arbitro, nell’errore del ragazzo, nella palla che non rimbalza come dovrebbe, nel tempo che non è più quello di una volta, nella secolarizzazione dei valori, nel … nel… e intanto il tempo scorre e la partita prende forma e quanto più questa forma si consolida, tanto più sarà difficile cambiarne l’esito. Non sono che alibi, per dare un senso all’incapacità di valutare il gioco e decidere cosa fare per cambiare le cose. Dunque, a mio parere (anche solo per questo, opinabile) mi è stato possibile ammettere l’idea che una squadra che ha dominato il campionato, potesse perdere la finale, proprio perché non ha la guida giusta per questo tipo di sfide. Poteva, quindi, perdere questa partita, come a suo tempo ha perso altre due finali a cui ho assisitito. Di fatto, ha perso per scelte tecniche, non per incapacità dei ragazzi, che hanno giocato come sanno, con la stessa concentrazione ed intensità di gioco che hanno mostrato in ogni partita del campionato. A solo titolo di esempio, nella prima giornata dei play-off una squadra, senza correre, ha costretto gli avversari a correre (diversi sono stati gli episodi di crampi che hanno colpito i ragazzi in campo) ed ha giocare al limite degli schemi di squadra. Il giorno successivo, una squadra ha scelto di correre e correre tanto, con pressione e raddoppi a tutto campo, senza accorgersi di non fare correre l’avversario, benché gravato nel fisico dal peso di una sfida a meno di ventiquattr’ore superata all’overt time. Questo gioco ha portato gli avversari a cercare posizioni statiche, ma adatte per superare la zona press e ad avere spazi liberi per l’attacco al ferro. Certo, qualche pallone è stato recuperato, ma il gioco ha portato i ragazzi del Curtatone a godere di un grande numero di tiri liberi, ossia alla possibilità di realizzare senza gioco (invero meno di quanto avrebbero avuto occasione, se ci fosse stato un arbitraggio un poco più fiscale). E’ questo è un solo esempio. Sia chiaro, il Coach del Malaspina ha pienamente dimostrato di saper costruire grandi atleti, dare un gioco alla squadra (invero un poco elementare) ed una giusta mentalità agonistica, fatta di intensità, concentrazione e collaborazione tra i giocatori in campo. Grandi doti per vincere un campionato, dove si può giocare con il pilota automatico inserito, ma, in una finale secca, sono doti necessari ma non sufficienti. Il Curtatone, dal canto suo si è adattato al gioco avversario, cambiando comportamento in ragione delle contingenze e sfruttando gli errori tattici della panchina di San Felice. Non si è trattato di un limite dovuto all'emozione della posta (il Malaspina ha giocato con questo gruppo diverse finali di campionato e di tornei) né di limiti in una presupposta mentalità vincente. Voglio ricordare due allenatori, tra i grandi di sempre e tra i più citati in letteratura, che si sono espressi in merito al significato della cosiddetta “mentalità vincente”. Vincent Lombardi affermò che “ omissis … vincere non è tutto, ma il voler vincere sì”, mentre Sir Alex Ferguson era solito chiudere ogni discorso pregara dicendo “divertitevi!, è un gioco”. Due citazioni che comunicano ai ragazzi che occorre prendere lo sport, così come anche la vita, con il giusto approccio, ossia mettendocela tutta, con leggerezza, sapendo che è un gioco, dove si può vincere e perdere, ma che occorre vivere appieno, anche solo per il gusto del momento. Hic et nunc. Soprattutto nel Basket. In ciò consiste, in estrema sintesi, la cosiddetta “mentalità vincente”. Il resto è aria. Questo in risposta, senza polemica, ad un amico che da un paio di giorni mi chiama, perché non vuole pagare il caffè, ma, amico mio, ogni scommessa persa è debito ed ogni debito va pagato.
Questo campionato è dunque finito. In conclusione, ci ha dato una classifica, che, per chi ha avuto il piacere di seguirlo come me, non ha alcun significato, perché troppi sono stati i risultati che hanno preso una direzione solo per un alito di vento, perché grande è il numero delle squadre che si sono sostanzialmente equivalse. Naturalmente indifferente alle statistiche, ho solo il ricordo di tutti i ragazzi che ho visto cimentarsi sui campi di gioco, ai quali mando il mio personale augurio, perché abbiano sempre ambizione, coraggio, consapevolezza delle proprie doti e senso di appartenenza alla squadra, così da superare ogni fatica e tutti gli ostacoli che incontreranno sul loro percorso di crescita, sempre forti nella determinazione a percorrerlo.
Nota 1: A tutti i ragazzi che hanno avuto la fortuna di giocare queste finali e per questie hanno sofferto e combattuto, voglio dedicare un passo dell’Enrico V di William Shakespeare, Atto IV, scena III "Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino". Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno. Questa storia ogni brav'uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest'oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; noi pochi. Noi felici, pochi. Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!”
Nota 2: Ho voluto dedicare ai ragazzi quello che, a mio parere, è uno tra i più intensi e coinvolgenti in letteratura, perché è da questo che ha preso forma il concetto shakespiriano di “fratelli al fronte” (non di compagni d’armi, che è ben altra cosa). Si tratta di un tributo all’eroismo dell’uomo in tempi difficili, il dipinto perfetto di ogni periodo storico, quello bellico, che ci ha mostrato il peggio dell’umanità, ma anche il meglio. Una storia di uomini, di grandi grandi sacrifici, che nel dramma personale non è mai banale, mai esagerata. In queste parole, Shakespeare (o forse è meglio dire Francesco Bacone) ha celebrato ogni generazione che ha immolato sé stessa per la libertà di quelle a venire. Scoprendo così che nudi, di fronte all’orrore, tutti gli uomini sono fratelli.
We happy few, We band of brothers. For he today that sheds his blood with me shall be my brother
Noi pochi, Noi felici pochi, Noi manipolo di fratelli. Poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello
Chi meglio di questi ragazzi può aver inteso il senso profondo di questa comune esperienza di gioco, seppure in tempi di pace e di spensierata giovinezza. La mia speranza e che queste parole possano dare forma a queste loro emozioni, così da radicarle in loro nel profondo.
Nota 3: Ogni altro uso improprio dei termini “Band Of Brothers” è da considerarsi illegale. Movimento per legalizzazione dell’intelligenza.
Nota 4: Ieri sera durante un’accesa discussione di merito con il pargolo sulla possibilità di dare una festa in casa, ho fatto valere lo status genitoriale e, ricordando le parole di mio padre, l’ho così apostrofato “ Finché sarò il padrone di queste quattro mura, decido io. E basta!” Lui, zitto, si alza e va al telefono. “Bé?”, dico io. “Sto telefonando alla tua banca”, dice lui. Azz...
Edited by Stid - 30/5/2017, 13:19
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