| Ne approfitto della pausa di viaggio in metro, per rispondere a “Rosu”. Devo dire che condivido quanto detto da “Neutrino” e da “Gagarin”. La pallacanestro più bella è quella che piace e (a Dio piacendo), ammesso che il piacere è soggettivo, potremmo discuterne a lungo, senza che l’uno persuada l’altro a riconoscere le proprie ragioni. Premetto che io sono uno che si emoziona molto più per il no-look di Parravicini a Calzavara (gran bel, bel e bel giocatorino) in pieno pitturato (Varese vs Siena), che per l’ennesimo tiro da tre di Tintori (gran bel, bel e bel giocatorino) in corso di partita (Milano vs Cremona), a prescindere da quanto abbia poi “pesato” la specifica azione sul risultato finale. A livello giovanile, non mi entusiasma certo l’esuberanza fisica di un giovane prospetto, quando a fronte di una schiacciata in contropiede, poi sbaglia due appoggi consecutivi a canestro, senza una reale opposizione dei difensori (per limiti nel fisco, non certo per l’impegno), perché cerca il ferro e non il tabellone e, forse irritato dall’errore, si propone di simulare a seguire un infortunio, a vantare un fallo invero non subito. Il tutto, nell’indifferenza della panchina che, a mio parere, avrebbe dovuto spiegare che un tiro sicuro è l'appoggio al tabellone e che, mai e poi mai, si simula un fallo quando non c’é. Altrimenti si gioca a calcio, non a basket. Vedere, poi, ragazzi che, a testa bassa, attaccano una difesa a zona, non dovrebbe portare a pensare che la difesa praticata dagli avversari neghi “il naturale diritto di espressione del talento del ragazzo ed il godimento del bel gioco da parte degli spettatori”, ma, al contrario, dovrebbe portare a porre la domanda sul perché un giovane di talento non sappia leggere la contingenza del gioco e riconoscere il limite del suo bagaglio tecnico, rispetto alla stessa occasione di gioco. In sintesi, si può ammettere che il suo talento sia mortificato dalla sua deficienza tattica, non dalla tattica praticata in difesa dagli avversari. Deficienza sua (nel senso di deficere, ossia imperfetto al bisogno) e del suo allenatore (nel senso di deficere, ossia deficiente e/o stupido), che l’ammette e consente. Dal Canto mio, per le partite che sono riuscito a vedere, tra le lombarde la Teva Varese ha espresso il gioco migliore, indipendentemente dal risultato. Tra l’altro, ho apprezzato (già in altre occasioni da me riconosciuta) la capacità di dei ragazzi di adeguarsi velocemente alla misura di giudizio degli arbitri. Commettono pochi falli e consentono un buon arbitraggio, che favorisce certamente l’espressione della migliore qualità del gioco della squadra, concede una maggiore libertà di gioco e fa emergere la tecnica, rispetto alla foga agonistica. Ribadisco che, per me, la tattica non limita la capacità del singolo, ma la esalta. A ben guardare, la libertà di gioco non è in sé garanzia di una migliore performance delle prestazioni individuali dei ragazzi, ma è, di sicuro, l’occasione per l’espressione di un gioco individuale, che non forma necessariamente i ragazzi, ma, di sicuro, evidenzia le qualità del singolo che si conferma (a torto od a ragione) il prospetto o, peggio, il “campioncino” atteso o riconosciuto nella squadra, dalla società o, semplicemente, dal suo papà ( o cuore di mamma). Un indicatore del gioco di squadra e della crescita del collettivo (non certo il solo) è la distribuzione dei punti realizzati a fine partita. Se, dunque, una squadra ha punteggi concentrati su due o tre ragazzi, è evidente che su questi stia lavorando bene, mentre sugli altri … meno. Il limite della tattica dovrebbe essere l’occasione di un attacco che dia ai giocatori l'opportunità di prendere decisioni (la soluzione “read and react offense” rimane la mia preferita, perché fondata sul perfetto equilibrio tra muscoli e cervello) e di una difesa fondata sul miglioramento individuale del giocatore, all’interno di un sistema difensivo di squadra (la soluzione “look for a fundamental position” rimane la mia preferita, perché fondata su scivolanti, aiuti e recuperi) Poi, all’alba delle Under 18, è ora di ammettere che la difesa a zona non è un peccato né un abominio. La questione di merito, semmai, è relativa all’evidenza che troppi sono i giovani talenti che approdano alle senior senza sapere difendere ed, ancor meno, attaccare la zona. Non è cosa da poco. Pensare, quindi, che debba essere una squadra senior la realtà deputata alla formazione tattica dei ragazzi è semplicemente ridicolo, quando quello che le realtà senior cercano non è un ragazzo di talento che faccia godere il pubblico, ma un giocatore professionista, che sia maturo nel carattere e capace di esprimere le sue potenzialità nel gioco della squadra, ossia già pronto ad eseguire gli schemi di gioco con capacità di adattamento a tutte le possibili situazioni di gioco sia in attacco, sia in difesa. Il resto è solo sport.
nota 1: un mio particolare pensiero va ai ragazzi di Cremona. Non posso certamente conoscere quale sia la misura della loro delusione, ma credo che sia al pari della mia quando mi portano via il piatto da davanti, prima di fare la scarpetta. Dunque, li comprendo. Però devono riconoscere che è stata una gran bella esperienza e che potranno ripresentarsi il prossimo anno, più forti e determinati, perché, ora che si è assaggiata la nutella, sanno che non se può fare a meno.
nota 2: un mio particolare pensiero va ai ragazzi di Varese. Hanno dimostrato di esserci e di meritarsi il valore a loro riconosciuto, come giocatori e come squadra. Per il futuro, ogni atleta ha diritto a una seconda possibilità, ma se sa giocare (e a Varese sanno giocare) può averne quante ne vuole.
Nota 3: un mio particolare pensiero va ai gregari, quando non sono dei veri e propri “muli” (termine arcaico, ma sempre efficace) che vengono sacrificati, spesso inconsapevoli, per la crescita dei prospetti, senza che loro abbiano la reale occasione di crescere. Al massimo vestono una maglia prestigiosa, ma il loro valore si perde nell’esperienza delle giovanili e non si ritrova più né nelle minor né (tantomeno) nelle maior (naturalmente, vi è sempre l’eccezione). Questi ragazzi sono sulla coscienza dei loro allenatori e, per quanto consapevoli, dei loro genitori, nonché dei loro denigratori sotto mentite spoglie (ndr. nickname), che bellamente dormono sonni tranquilli. Per questi ultimi, un augurio di una vena varicosa all’uccello.
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