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| Era già stata postata tempo fa da qualcuno, ma la riporto perchè secondo me è un condensato di verità che nasce da esperienza di anni e anni di uno dei migliori coach delle giovanili:
"Ci sono famiglie che combinano disastri. Un esempio: siamo andati a giocare le finali nazionali under 17 con due ragazzi, amici d'infanzia, che non si parlavano più e non si passavano neanche più la palla per questioni di invidie tra famiglie. Roba di convocazioni in Nazionale e premi che uno aveva ricevuto e l'altro no. I due ragazzi li ho messi in camera assieme, ci ho parlato, ho ottenuto che almeno si rispettassero in campo e abbiamo vinto quello scudetto. Ma con le famiglie i risultati sono stati scarsi, non hanno cambiato atteggiamento. Figurarsi quando subentrano anche i procuratori. Purtroppo molti genitori provocano la cosiddetta "sindrome da campione": il ragazzo viene sopravvalutato, si sente già arrivato e si blocca il processo di crescita. Considera che sia tutto scontato e dovuto, pensa solo che gli basti far passare il tempo e andrà nella Nba. È come se entrasse in una realtà virtuale e non considera più l'opzione dell'insuccesso: se arriva una sconfitta la vive come un fattore imprevedibile, non trova una via d'uscita, resta disarmato perché è stato programmato solo per vincere. Ed è difficile a quel punto farsi ascoltare. Perché è più comodo dar retta a chi ti regala un alibi dando la colpa a un altro: all'ambiente, al tecnico, ai compagni, agli arbitri. Il talento non basta per diventare giocatori".
Giordano Consolini (Virtus Bologna)
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