È stata la finale di Alessandro Gentile, il più giovane Mvp della storia, grande trascinatore soprattutto nel momento più delicato come dimostrano i 26 punti con l’aggiunta di 7 rimbalzi in gara 6. Ma è stata anche la finale di Curtis Jerrells, la cui grandezza è stata magari episodica ma non meno decisiva. Jerrells devastante in gara 1 con un primo tempo irreale con il quale ha cancellato con un colpo di spugna la crisi maturata nei turni precedenti. E poi Jerrells decisivo in gara 6 con il buzzer beater che ha certificato l’impresa dell’Olimpia sotto 2-3 nella serie e con una abnorme responsabilità sulle spalle.
Una finale è difficile sempre per definizione ma quella tra Milano e Siena ha elevato il concetto fino a raggiungere una dimensione surreale. Cinque ex da una parte capitanati dal Coach Luca Banchi che a Siena aveva speso sette anni consecutivi fino a sentirsi a disagio nei panni del nemico tanto che dopo gara 6 ebbe difficoltà a trovare le parole con cui salutare Siena, al passo d’addio come società. E questo era l’altro aspetto inusuale ovvero la sfida ad una squadra abituata a vincere nel momento in cui le circostanze la stavano conducendo alla fine. E anche Siena era imbottita di ex agguerriti a partire dal coach Marco Crespi con il suo slogan Something Different (“Ma noi siamo quello che è diverso in questa finale perché saremo noi a vincerla” disse Wallace prima di cominciare la serie ai compagni) per arrivare a MarQuez Haynes ceduto da Milano a Siena proprio per arrivare ad Hackett. E il giocatore deludente, passivo e confusionario di Milano a Siena si trasformò in un grande realizzatore. Nella serie sarebbe stato questo: discontinuo, bravo a strappi, un po’ egoista ma certamente pericoloso.
Siena si era qualificata tra le polemiche contro Reggio Emilia vincendo le ultime due partite e poi facilmente contro Roma 4-1 approfittando anche dei problemi fisici di alcuni avversari soprattutto Phil Goss. Nel raggiungere la finale aveva trovato una notevole compattezza di squadra cavalcando l’onda mediatica al punto da venire incredibilmente – considerando il passato del club – dipinta come una favola. Improvvisamente la squadra di cui molti mettevano in dubbio la legittimità della sua partecipazione era diventata ala squadra simpatia.
L’Olimpia aveva dominato le prime due partite al Forum ispirata prima dai missili di Jerrells e poi da una prova devastante di Samardo Samuels. Ma in un attimo a Siena la serie aveva cambiato aspetto. Siena aveva dominato gara 3 poi si era ripetuta in gara 4 rovesciando pressione sull’Olimpia. Gara 5 invece di ristabilire l’ordine era diventata un incubo, la peggior serata dell’anno. “Dopo gara 5 per qualche minuto ho smesso di crederci poi mi sono ribellato al destino” racconta Alessandro Gentile. Quella sera stessa convocò a Siena tutta la famiglia per gara 6.
Coach Banchi non fece allenamento il giorno della partenza per Siena riservandosi gli ultimi aggiustamenti per lo shootaround che si sarebbe svolto nella palestra del Cus Siena. Alla fine dei 60 minuti di lavoro fu ancora Gentile a chiamare tutti a metà campo per il grido di battaglia di solito riservato a giocatori e tecnici. Quel giorno Gentile volle tutti insieme appassionatemente senza eccezioni.
In campo Gentile fu ancora di parola giocando forse la più grande partita della sua giovane carriera inclusa una strepitosa schiacciata a difesa di Siena schierata sulla testa del duo Ress-Hunter. L’Olimpia anche in gara 6, con le spalle al muro ebbe una reazione da grande squadra esattamente com’era successo a Sassari però con più stanchezza, più pressione e magari più paura addosso. Così una partita dominata diventò una battaglia punto a punto. Il finale è storia: il tiro da tre di Matt Janning che tocca due ferri prima di uscire, un grande rimbalzo di Nicolò Melli che poco prima aveva segnato due vitali canestri da tre punti e l’ultimo possesso destinato alla storia.
“Gli episodi spesso sono decisivi persino nel costruire la storia. Un giorno quel tiro potrebbe rivelarsi ancora più importante di quel che sembra oggi” avrebbe detto Luca Banchi dopo gara 7. Jerrells si fece consegnare la palla da Melli e poi in un atto a metà strada tra coraggio, incoscienza e fiducia nei propri mezzi decise che il tiro più importante della stagione sarebbe stato suo. “Volevo la palla – ammette Gentile – ma quando ho capito che non me l’avrebbe mai data ho pensato di fargli notare quanto mancava alla fine”. Si perché fin dal precampionato Jerrells aveva mostrato la sinistra tendenza a perdere il controllo del tempo. Ma non in gara 6, non con la stagione sulle sue spalle. Jerrells si costrui il suo tiro perfetto: un palleggio per fingere la penetrazione poi il classico Step Back per creare lo spazio necessario per scoccare il suo tiro mancino con un piede sulla linea del tiro da tre. Non appena la palla ebbe lasciato la mano sinistra di Jerrells fu chiaro che sarebbe entrata. Curtis non ebbe neppure bisogno di controllare. La sua reazione fu quel misto di sana arroganza e consapevolezza che lo contraddistingue. Un attimo dopo in spogliatoio scoppiò il pandemonio fino a quando si udì una voce, una sola ma inconfondibile: il presidente Proli ricordava che “Ne manca ancora una”.
Le 48 ore di attesa furono lunghe e sotto alcuni aspetti persino surreali. La vigilia fu caratterizzata dalla sconcertante rapidità con la quale vennero polverizzati i biglietti disponibili poi dalla chiamata di Alessandro Gentile nei draft NBA la notte del 26 con la rassicurante selezione di Houston che non fosse altro per la presenza nel front office di Gianluca Pascucci, ex Olimpia e ancora oggi grande supporter del club, garantiva una moratoria di almeno 48 ore sul primo contatto con il ragazzo. E infine il giorno di gara 7 l’amara sorpresa: dov’è Gani Lawal?
Di tutto quel che può succedere il giorno di una finale una delle poche cose che non ti aspetteresti mai è accaduta. Un giocatore è arrivato 45 minuti in ritardo quindi di fatto ha saltato lo shootaround. Lawal non è un irresponsabile. Lawal è un bravo ragazzo ma proprio per questo la tensione gli ha giocato un brutto scherzo. Non riusciva a dormire e quando finalmente è riuscito ad arrendersi al sonno era già l’alba e la successiva sveglia l’ha colto completamente esausto. Il genuino tono delle sue parole nel momento in cui ha implorato il perdono dei compagni ha rappresentato uno dei momenti più toccanti e indimenticabili di quel memorabile 27 giugno 2014.
La partita non avrebbe potuto avere uno sviluppo peggiore. Trascinata da un Melli fantastico, assunse subito il controllo della gara ma senza capitalizzare abbastanza finché nel secondo tempo dovette subire la rimonta di Siena e addirittura nel quarto periodo la fuga di Siena, due volte a più otto a ingigantire tensioni, paure e responsabilità. Quelli sono i momenti in cui si può scegliere. Arrendersi al destino o ribellarsi. L’Olimpia decise di ribellarsi. Decise di vincere moltiplicando l’intensità difensiva fino ad annullare l’attacco di Siena. E poi arrivarono in un Forum delirante le giocate offensive decisive. La tripla frontale di Jerrells, il canestro e fallo di Hackett, la bomba di Moss dall’angolo e infine la schiacciata finale di Gentile. La festa dello scudetto, folle e bellissima, aveva tanti significati ma soprattutto voleva sancire il modo in cui la vittoria infine era arrivata. Puro stile Olimpia (26 – fine).
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