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Olimpia Milano, ...verso il rilancio

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micio000
view post Posted on 6/9/2014, 07:28 by: micio000




dalla skifezza suina

«Finito col basket non tornerò in Italia» «Il caso Tavecchio mi ha messo tanta rabbia: c’è troppa politica nello sport. Felice di vivere negli Usa»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MASSIMO LOPES PEGNA
NEW YORK

Tre operazioni dal 5 aprile 2013, giorno in cui Danilo Gallinari si lesionò il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro, un calvario finalmente vicino alla fine.
Come sta?
«Molto bene. A 7 mesi dall’ultimo intervento sono pronto a rientrare. Ho già fatto qualche allenamento con contatto a Milano, ora dovrò riprendere fiducia per farmi trovare pronto».
Da dove riparte?
«Da dove ho lasciato, dunque da un livello alto. Ci vorrà un po’ di pazienza perché dopo un anno e mezzo senza pallacanestro hai bisogno di tempo soprattutto per recuperare a livello mentale. Ma voglio diventare un giocatore ancora più forte di prima dell’incidente».
Il momento più duro è stato quando ha saputo di doversi rioperare il crociato perché il primo intervento non era andato bene?
«No, perché quell’operazione è stata una sorta di scommessa del dottor Richard Steadman. Diciamo che durante i 6 mesi di riabilitazione non ero mai stato sereno. Sapevo che c’era qualcosa che non andava. Quando mi hanno confermato che avrei dovuto tornare sotto i ferri ero quasi felice perché avrei affrontato un normale intervento di ricostruzione del crociato e da lì in poi sarebbe andato tutto bene. E così è stato».
Rimpianti?
«E’ chiaro che se tornassi indietro non andrei da Steadman. Su questo anno e mezzo scriverò un libro con molti fatti che non ho raccontato. Meglio lasciar perdere perché potrei scaldarmi. Dico solo che un mese dopo il mio intervento Steadman dichiarò che non avrebbe più operato. La mia è stata una scelta sbagliata, ma era considerato uno dei migliori e aveva la clinica a un’ora di auto da Denver. Ora, poi, vedo i casi di Giuseppe Rossi, di Westbrook, della Vonn e di chissà quanti altri non famosi a cui non è andata bene fidandosi di lui».
Il roster dei Nuggets è invariato rispetto all’ultima stagione, quando avete mancato i playoff.
«Ma sono soddisfatto. Recupereremo McGee, Robinson, Lawson e il sottoscritto. Abbiamo aggiunto Afflalo, con cui avevo giocato per alcuni anni. Siamo solidi e qualcuno già ci assegna il ruolo di underdog. Possiamo tornare allo stesso livello di quando ho lasciato: eravamo terzi all’Ovest e potenziali finalisti di Conference».
E l’Olimpia? A gennaio pronosticò che Milano avrebbe vinto il titolo. Quest’anno ci sarà il bis?
«Penso di sì, perché è la più forte. Mi aspetto che arrivi alle Final 4 d’Eurolega dopo averle sfiorate la stagione passata. E mi auguro che Gentile possa disputare un campionato super. Se ci riuscirà, arriverà anche in Nba».
Obiettivo Europeo centrato. E’ un’Italia già tosta, se tutti voi «americani» darete la disponibilità, siamo autorizzati a sognare?
«Non vorrei alzare troppo l’asticella delle aspettative, ma siamo forti e possiamo fare bene assieme. Dobbiamo sognare noi e far sognare gli italiani. Sarà l’Europeo più importante, quello della qualificazione olimpica: sono già carico adesso».
E del caso Hackett che cosa dice?
«Ho parlato con tanti compagni, ma non avendo vissuto la vicenda da dentro è difficile avere un’opinione. Probabilmente Daniel stava attraversando un periodo complicato. Credo che si sia accorto dell’errore. Nella vita nessuno è perfetto: si sbaglia, si chiede scusa e si va avanti. Daniel l’ha capito e si riparte da zero. Appuntamento all’estate prossima: capitolo chiuso».

E quello di Donald Sterling, con le sue dichiarazioni razziste, l’ha seguito?
«Sui giornali. Il Commissioner Nba, Adam Silver, ha gestito la situazione in modo impeccabile. Nella prima conferenza aveva detto che non c’era posto per gente come lui e così è stato».
Invece da noi ci ritroviamo con Carlo Tavecchio presidente della Federcalcio, nonostante lo scivolone sulle banane.
«Ci sono molte cose che potrei dire. Sono incazzato. Mi viene tanta rabbia. E’ evidente: il nostro è un sistema che non funziona e deve essere cambiato. Ma c’è troppa politica. La strada per arrivare a un modello Nba è lunga, forse impossibile. Credo che il 99.9% del pubblico la pensi come me. Sono contento di vivere negli Usa e giocare nella Nba, lontano da episodi così».
E una volta finito con il basket e messo su famiglia, che farà?
«Resterò negli Usa. Cercherò di diventare cittadino americano. In Italia non ci tornerò. Giusto per le vacanze, per vedere famiglia e amici».
 
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