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10 febbraio: Foibe e pulizia etnica, checchè se ne dica checchè

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bob lauriski
view post Posted on 11/2/2008, 15:37 by: bob lauriski




CITAZIONE
venerdì, febbraio 10, 2006

Il Manifesto invita a "comprendere" l´eccidio delle foibe

Foibe: ormai quell'eccidio non può più essere negato. Quando anche il Presidente della Repubblica invita a ricordare, allora solo un vero sovversivo può decidere di continuare a tacere. E allora qual è la tattica adottata dagli irriducibili negazionisti? La loro strategia è quella della «contestualizzazione». Il ragionamento è: «non bisogna limitarsi a studiare il massacro ed esserne scandalizzati, piuttosto bisogna capire il contesto in cui è avvenuto». L'Università di Roma 3 ha negato ai giovani di Alleanza Nazionale di esporre le foto del ritrovamento dei corpi delle vittime, con gli stessi argomenti usati contro le vignette su Maometto: offendono il buon gusto, possono provocare troppe tensioni politiche e la loro semplice esposizione non permette di capire il loro «contesto».
Ma il campione della «contestualizzazione» delle Foibe, alla vigilia della giornata in cui verrà ricordato lo sterminio, è il quotidiano comunista Il Manifesto. In prima pagina, Gabriele Polo, nell'articolo Ricordo senza memoria, invita a riflettere: «La memoria non è semplice ricordo: non può essere elencazione di fatti, richiede elaborazione. E, soprattutto, non accetta le semplificazioni, di cui si nutre la propaganda». Poi ricorda che i fascisti tentarono di italianizzare Istria e Dalmazia con metodi terroristici e contribuirono in modo determinante all'occupazione nazista della Jugoslavia. Quindi l'elaborazione della memoria non è altro che questa: le foibe sono una vendetta. Non si legge «legittima», né «giustificata», ma fra le righe si intuisce: «almeno comprensibile».
Accettiamo la sfida, allora, e cerchiamo di «elaborare»: i 15.000 e più italiani trucidati dall'Esercito Popolare di Tito furono fucilati, torturati, gettati anche vivi nelle profonde caverne del Carso solo perché erano Italiani, indipendentemente dalla loro età, dal loro sesso, dalle loro idee politiche, dalla loro fede o dal loro ruolo in guerra. Non si tratta di vendetta, né di giustizia, ma di pulizia etnica, di gran lunga superiore, per ferocia ed entità, ai «crimini» commessi dagli italiani fino al 1945. Accettiamo doppiamente la sfida e cerchiamo di «contestualizzare» realmente questo massacro: non fu un caso isolato e non riguardò solo la popolazione italiana di Istria e Dalmazia, ma si deve inserire in uno sterminio sistematico di tutti i «nemici» del regime comunista di Tito, un vero democidio (genocidio, politicidio e omicidio di massa) che provocò oltre 1.000.000 (un milione!) di morti. Il nuovo regime, ancora prima di insediarsi definitivamente al potere a Belgrado, incominciò a sterminare tutti i membri delle formazioni non comuniste, comprese quelle (come i Cetnici serbi) che avevano combattuto valorosamente contro l'occupazione nazista fin dal 1941; tutti gli appartenenti ai ceti sociali ritenuti «nemici» dall'ideologia marxista (borghesi, contadini ricchi, proprietari terrieri, preti e religiosi di tutte le confessioni); nonché le etnie «colpevoli» (collettivamente giudicate colpevoli) di aver sostenuto l'occupazione.
I metodi con cui vennero eliminati in massa i «nemici» furono sempre gli stessi: vi furono eccidi analoghi a quelli delle Foibe anche nel Montenegro, dove le vittime furono gettate in massa in caverne e dirupi. I criteri con cui il Partito Comunista sceglieva chi uccidere erano arbitrari. In alcuni periodi i cittadini jugoslavi avevano paura più dei partigiani che non degli occupanti nazisti: paura di essere uccisi senza processo per essere andati a messa, per essere giudicati troppo ricchi, per essere considerati troppo grassi o troppo ben vestiti. Come Stalin deportò intere etnie (Ceceni, Baltici, Tedeschi del Don...), man mano che i loro territori venivano riconquistati, così anche Tito eliminò dalla Jugoslavia l'intera minoranza tedesca, punì ferocemente gli Sloveni e «ripulì» le regioni settentrionali dagli italiani. Un osservatore inglese definì il regime di Tito un «mattatoio», senza mezzi termini. Questo è il contesto in cui avvennero le Foibe.

Stefano Magni

 
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