| Caro signor Peppeppe Fev (o Fev Peppeppe, mi scuso ma non capisco quale sia il nome e quale il cognome...),
intervengo da semplice genitore di un giocatore della Social Osa Under 18. Il lavoro di un allenatore, soprattutto di un allenatore delle giovanili, è difficilissimo da giudicare. Di solito chi ricopre questo ruolo viene messo in discussione dal punto di vista tecnico, anche se spesso chi lo critica fatica a distinguere un'infrazione di passi da un doppio palleggio. E quando non ci sono motivi tecnici si passa al ruolo di educatore, all'incapacità presunta di trattare con i ragazzi, al tipo di rapporto instaurato con gli stessi.
La realtà, con il nostro coach, è che ogni giorno vedo i nostri figli andare volentieri all'allenamento, ansiosi di imparare cose nuove. Li vedo tornare stanchi, ma pronti a tornare in palestra. Li vedo far parte di un gruppo maturato abbastanza da risponderle, senza avvisare prima i genitori, firmando uno per uno il messaggio con il proprio nome. Tutti. Cosa da uomini, più che da ragazzi, capaci di assumersi le proprie responsabilità.
Lei ha visto una partita: un lasso di tempo troppo breve per giudicare una persona. Nel basket e fuori dal basket. Io osservo il nostro coach cinque volte alla settimana: dopo quarant'anni di pallacanestro, molti dei quali passati proprio in squadre giovanili, le assicuro che quasi mai mi è capitato di trovare un allenatore non solo così preparato dal punto di vista tecnico, ma soprattutto impegnato a documentarsi, leggere e studiare per capire i ragazzi che gli vengono affidati. Non solo come giocatori, ma soprattutto come persone.
Ogni tanto, come capita a tutti noi, il coach "sbrocca": la maggior parte dei genitori, se fosse ripresa di nascosto mentre sta facendo un "cazziatone" ai propri figli, rischierebbe probabilmente di perdere la patria potestà. Insomma, è un po' il vecchio adagio che recita: "Datemi un'enciclica e un paio di forbici e vi dimostro che il Papa è ateo e bestemmia". Ed è vero: non c'è nulla di peggio e di più fuorviante che prendere una parte per il tutto, una partita per la vita intera.
I ragazzi della nostra Under 18, da quando sono con coach Moro, sono diventati un gruppo. Lui li ha spinti a frequentarsi fuori dal campo, a confidarsi l'uno con l'altro, insomma a fare squadra. In questo è stato anche meglio di noi genitori. Nell'ultima partita ha sbagliato. Ma a tutti, come ho detto prima, capita di sbagliare. E tutti hanno il diritto di essere giudicati per quello che fanno davvero e, soprattutto, dalle persone che dovrebbero farlo. La risposta di tutta la squadra, per qualsiasi allenatore che ami i propri ragazzi, è l'unico giudizio che conti davvero.
Tenendomi ben stretto coach Moro, la saluto cordialmente
Mattia Losi genitore di un giocatore Under 18 della Social Osa
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