... E SE C'ERO DORMIVOFrammenti incoerenti di eventi in cui c'ero (volenti o nolenti)
13. puntata - Precedenti: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12Tutti i libri di storia ricordano che la rivoluzione francese iniziò dal famoso ritrovo dei congiurati nella Sala della Pallacorda. Forse, un giorno, gli annali riporteranno anche che la rivoluzione del basket femminile iniziò da una
tavola rotonda tra una trentina di addetti ai lavori del basket lombardo: quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo, per dirla in modo poetico, anche se erano un po’ di più e non era il bar né la Sala della Pallacorda, ma una saletta del PalaIseo di Milano, la sera del
5 dicembre 2008.
Come andrà a finire? Difficilmente con la presa della Bastiglia, ma tra i presenti al dibattito ce ne sono molti che vogliono che le cose cambino, e in fretta, se no potrebbero arrabbiarsi.
Come ha detto Franz Pinotti qualche giorno dopo, «le società hanno voglia di fare, di vedere fatti concreti, mentre troppo spesso sentiamo politici che dicono sì a tutto e tutti per guadagnare consensi ma poi non agiscono».
Conduttore-moderatore-animatore della tavola rotonda, appunto,
Franz Pinotti, dirigente del Sanga/San Gabriele Milano. Presenti il presidente della Fip lombarda,
Enrico Ragnolini; la consigliera regionale
Angela Albini; allenatori plurinavigati e pluridecorati (
Aldo Corno,
Guido Cantamesse), coach e dirigenti vari della Lombardia, una giocatrice con tanto di madre (la ’93 di Vittuone Ashley Ravelli) e alcuni ospiti internazionali dal Criterium Città di Milano under 14 che si stava svolgendo in quei giorni. Il titolo della tavola rotonda,
"Tre idee per il basket femminile", derivava dall'omonimo
documento che è stato poi presentato alle autorità cestistiche nostrane – primo destinatario il candidato alla presidenza nazionale Fip,
Dino Meneghin – e agli organi d’informazione come sunto delle proposte della “base” lombarda per migliorare e riformare la pallacanestro italiana in rosa: questo documento è appunto articolato in 3 punti. Di idee, in realtà, la sera del 5/12 ne sono piovute a centinaia; qui di seguito le abbiamo smontate e raggruppate intorno a fili conduttori per dare un quadro organico delle quasi 3 ore di discussione.
Riforma dei campionati – La proposta di un
nuovo campionato di vertice spicca al primo punto del documento. Blocco delle retrocessioni, principio della “franchigia” in stile-sport professionistico Usa, nessun obbligo di settore giovanile che ricadrebbe solo sulle società di base, separazione netta dalla Fip: questi i punti, volutamente anche provocatori («Vogliamo tirare un sasso nello stagno», è stata la metafora del presidente onorario del Geas,
Carletto Vignati), parzialmente smussati nella versione definitiva del documento (in cui ad esempio si apre alla possibilità di retrocessioni), ma senza compromessi sugli obiettivi di fondo: «Chiamiamola solo “Lega delle società di vertice”, se il termine “Superlega” crea problemi, ma la sostanza non cambia: vogliamo che il massimo campionato sia uno spettacolo, un business – ha spiegato
Franz Pinotti: – quindi
straniere libere, accorgimenti tecnici come il canestro ribassato, puntare forte sulla comunicazione. Con una gestione a cura esclusiva della Lega, mentre i campionati nazionali “normali” (che chiameremmo semplicemente A, B, C, D: basta con le etichette A2, B2, eccetera) sarebbero affidati alla Federazione, che così si dedicherebbe davvero a quello che secondo noi dev’essere il suo scopo: fare
promozione e attività di base. Non l’attività di vertice».
Concetti decisamente “eretici” rispetto alla realtà attuale, e infatti
Ragnolini ha arricciato il naso e messo qualche paletto pur mostrandosi interessato: «Anch’io sono stuzzicato da un progetto di Superlega, ma lo vedo di difficile realizzazione. C’è la necessità di tutelare le italiane di vertice: alle nostre atlete dev’essere garantito spazio ai massimi livelli per poter essere competitive in campo internazionale con la maglia azzurra. La Nazionale è lo specchio del movimento, ricordiamolo». Ma
Pinotti ha rilanciato: «Non abbiate paura della separazione tra attività federale e campionato di vertice, né del professionismo. È una svolta che va fatta, e presto». Difficile tuttavia trovare un'intesa su questo punto. Ce la vedete la Federazione che molla la presa sull'attività di vertice? Noi no.
Anche
Aldo Corno è stato scettico sulla fattibilità di una riforma così profonda: «Non credo proprio che il Coni la approverebbe. Ci vuole qualcosa di più attuabile, ferma restando l’esigenza di avere, sotto la serie A che vedrei meglio a 12 squadre, un campionato nazionale formativo per i giovani: mio figlio, del ’92, ha più talento di quello che avevo io alla sua età, ma io giocavo da titolare in B, all’epoca il secondo campionato, mentre lui, con le regole attuali, al massimo potrà fare una B2, la quarta serie. Anche se sono favorevole alle straniere in A2, perché consentono alle italiane di non giocare fuori ruolo».
Angela Albini ha detto a sua volta di voler pensare a soluzioni più fattibili nell’immediato e a tal proposito ha puntato il dito sulle pecche della B1: «Mi spiace che non ci sia qui una controparte di Lega, perché sarebbe interessante discuterne. La formula del terzo campionato nazionale, quest’anno, è assurda, con squadre lombarde che dovranno giocare in Abruzzo o in Puglia... E’ possibile che la B1 costi più dell’A2? Mi meraviglio delle società che hanno dato l’ok a questa formula, anche se pare che il tutto sia dovuto a una mail inviata mesi prima ai club, in cui, in modo vago, si chiedeva se fossero disposte ad affrontare trasferte più lunghe e a giocare su scala nazionale. Chiaro che molti hanno risposto sì, senza aspettarsi conseguenze del genere».
Come ha spiegato poi
Sergio Gatti, dirigente di Albino (B2 lombarda ma l'anno scorso in B1): «A noi è arrivata una telefonata informale, lo scorso marzo: se avessero fatto un referendum ufficiale non credo proprio che sarebbe passata questa svolta».
Albini è radicale sulla B1: «Per me è una categoria che, così com'è, vale la pena di abolire, perché ha fallito l’obiettivo per cui è stata creata, cioè dare spazio alle giovani, soprattutto quelle uscite da Azzurrina. Guardando i nomi che ci sono nei vari gironi, mi sembra più un cimitero degli elefanti che un trampolino di lancio: in realtà le giovani migliori giocano in A1 o in A2», ha analizzato Albini, trovando in disaccordo
Stefano Fassina. Secondo il coach del Sanga, le giovani in B1 in realtà ci sono, e non tutte potrebbero trovare spazio in A2, per cui da quel punto di vista la B1 ha una sua utilità (lo stesso Sanga, del resto, ha varie giovani in organico, che difficilmente giocherebbero al piano di sopra).
Quanto al dettaglio delle “siglette” A2, B1, B2 ecc.,
Albini ha spiegato che servono, soprattutto nell’Italia centro-meridionale, a ottenere ore di palestra e finanziamenti pubblici che per legge spettano a chi gioca in categorie formalmente più alte: e in quelle zone, dove l’imprenditoria privata latita, ottenere soldi dagli enti locali è essenziale. Albini ha anche sostenuto che «la Superlega è un’utopia», mentre
Pinotti le ha ribattuto che «è per far giocare le italiane in serie A che la faremmo: con le straniere libere nella Lega di vertice, la A sarebbe il campionato delle italiane».
Regolamenti – Tra le idee per rendere appetibile questa la “Superlega” (o comunque si chiami il campionato di vertice), si diceva, ci sono alcuni accorgimenti regolamentari: «Per avere uno spettacolo al massimo livello, suggeriamo il ferro a 292 cm e il no al previsto allontanamento della linea dei 3 punti».
Aldo Corno ha puntato il dito sulle «imbecillità da evitare. Lo
0-20 per le 4 straniere in campo è la prima della lista. Io 2 anni fa ho perso a tavolino una partita vinta di 42 per questo regolamento idiota. Tra l’altro a quell’epoca non c’era nemmeno un regolamento chiaro sulla pena: la mia società fu processata come se avesse commesso un crimine». Ha detto Vignati: «Ci vuole la volontà politica di risolvere il problema». E Ragnolini ha assicurato: «L’episodio capitato al Geas quest’anno
(manco a farlo apposta, due giorni dopo sarebbe successo anche a Venezia contro Parma, ndr) ha smosso le acque: ne abbiamo parlato a Roma, per questo campionato ormai non si può provvedere, ma ci si è resi conto che lo 0-20 è ridicolo».
Corno, membro della commissione tecnica della Fiba, ha parlato poi della nuova
riga dei 3 punti a 6,75 metri, che entrerà in vigore dal 2010-12: «E’ stato stabilito che la linea sarà a forma di lampadina, ovvero negli angoli dovrà essere tracciata a non meno di 90 cm dalla linea laterale. Il che significa che nelle palestre più strette, il tiro da 3 sarà più vicino negli angoli che al centro, anzi in qualche caso sarà più vicino di quello attuale». Una curiosità da
Franco Pinotti, cugino di Franz, il cui italiano con venature spagnole rivela che è trapiantato da decenni in terra iberica: «In Spagna hanno fatto una regola secondo cui, nei campionati dei piccoli, il tiro da fuori vale 3 punti: così i ragazzini sono stimolati a imparare a tirare da fuori anziché buttarsi sempre in area, con ottimi risultati per la loro crescita tecnica».
Aldo Corno ha detto la sua anche sul
canestro ribassato: «L’idea dei 2,92 è ottima perché la differenza sarebbe impercettibile dall’esterno, ma avrebbe effetti consistenti: col ferro 13 cm più in basso avremmo molte atlete in grado di schiacciare o comunque di giocare al livello del ferro. Dicono che il gioco del femminile è “subacqueo”: col ferro più basso sarebbe un’altra cosa. Teniamo conto che le giocatrici sono 20 cm più basse, in media, dei colleghi uomini. Purtroppo Boris Stankovic (uno dei massimi dirigenti Fiba, ndr) è refrattario all’idea. Per fortuna Baumann, il presidente, non è contrario. Sarebbe ottimo per lo spettacolo: nel volley hanno la rete più bassa di 30 cm, per le donne, altrimenti giocherebbero a palla rilanciata». Il plurititolato coach ha chiuso con una punta polemica: «Queste sono idee serie per rendere più appetibile il basket femminile: altro che mettere le giocatrici in costume».
Il modello Spagna – «Con tutto il rispetto, mi sembra che stiate partendo col piede sbagliato se vi perdete in discussioni sui campionati e sulle regole», si è inserito così nel dibattito
Franco Pinotti. «Sono nel basket da 47 anni e mi ricordo bene dell’epoca in cui l’Italia era al top d’Europa e la Spagna cercava d’imparare: mi meraviglio che ora ci si accapigli intorno a cose elementari, dimenticando che il problema centrale dev’essere la creazione di giocatrici. In Spagna non esiste il vincolo del cartellino, e allora come fanno le società a convincere le ragazze a restare? Con l’
organizzazione. Se il campionato di vertice è lo specchio del movimento, bisogna che sia bello pulito, ovvero deve avere un movimento solido alle spalle. La prima cosa che hanno capito in Spagna è che
basket professionistico e federale vanno separati: la Federazione spagnola non ha ingerenze nella Liga ACB, le cui norme sono stabilite dai club. Per il basket di base ci vogliono
palestre a costi bassi: a Viladecans, sobborgo di Barcellona, abbiamo un palazzetto enorme e il Comune lo dà gratis. Certo che se una società spende 10.000 euro all’anno di palestre, poi non ha soldi per pagare un allenatore valido. Non crediate però che da noi ci siano tanti soldi a disposizione: si tira avanti con le quote dei genitori e piccoli sponsor, per cui è fondamentale organizzarsi, ripartendo i ruoli nel modo più efficiente: chi si occupa del reclutamento fin dal minibasket, chi tiene i rapporti con gli arbitri, chi sovrintende agli allenatori... È così che abbiamo vinto 25 medaglie giovanili negli ultimi anni. La Lega spagnola femminile non ha una copertura televisiva, ma non ne fanno un problema: lavorano tutti col massimo impegno. La vera spinta, in Spagna, viene dal basso, col gran lavoro delle federazioni “autonomiche” (cioè regionali): in Catalogna si giocano 3000 partite ogni weekend, e sono tutte coperte dagli arbitri. Il nostro modello di selezioni regionali è simile alla vostra Azzurrina: si chiama “
Progetto Secolo XXI”, iniziò per le Olimpiadi del ’92, raccoglie le migliori 15enni in un club apposito. Per fortuna, da noi la politica si è resa conto che lo sport può dare lustro al Paese, e quindi lo sostiene. Un altro aspetto del modello spagnolo è l’ampia
libertà lasciata alle singole regioni di adeguare le regole alla propria realtà: la Catalogna è molto diversa dall’Extremadura, quello che va bene da una parte non è detto che funzioni dall’altra».
Sulle palestre a costi bassi,
Ragnolini ha sospirato: «Qui da noi è un'utopia». E
Carletto Vignati ha attaccato: «Il problema è che gli assessori allo Sport dei vari Comuni sono spesso personaggi che con lo sport non c'entrano nulla».
Reclutamento, direttore tecnico e arbitri – Aldo Corno ha colto la palla al balzo, dopo le parole di Franco Pinotti, per riaffermare un suo cavallo di battaglia: «Anni fa, quando lanciai il noto slogan “Le vogliamo alte”, per trovare giovani talenti fisici, fui preso in giro da molti. In Spagna hanno appena proposto una cosa simile, e hanno subito trovato più di 100 ragazze sopra l’1.90. E chi le allena? Catarina Pollini.
La priorità assoluta è il reclutamento: non abbiamo giocatrici, questa è la verità. Negli anni ’80 ci si faceva il mazzo andando porta a porta in tutta Italia a cercarle. Il minibasket attuale, invece, serve solo come raccolta soldi per le società. La pallavolo ci sta cancellando sotto questo punto di vista. Eppure il lavoro di selezione paga: Azzurrina ha portato le nostre ’92 a vincere l’argento, la scorsa estate. Inoltre sostengo che bisognerebbe ripristinare, nei club, la figura del
direttore tecnico: una persona di lunga esperienza, che affianca e consiglia i coach, gli insegna a tirar fuori la giocatrice dal materiale grezzo: un allenatore degli allenatori, potremmo dire. È molto più utile dei corsi allenatori. Siamo in crisi di idee, prima di tutto. Il resto sono dettagli».
Così
Ragnolini sul reclutamento dei talenti: «Per anni non ho mai visto dirigenti di società collaborare: si facevano concentramenti di giocatori interessanti, ma le società partecipavano con l’unico intento di accaparrarsi i migliori fregando le altre».
Il problema del reclutamento non c'è solo a livello di giocatori, ma anche di
arbitri. Pure su questo
Franco Pinotti ha offerto l'esempio iberico: «In Spagna hanno lanciato un progetto con l'obiettivo di trovare 10.000 arbitri: ce l'hanno fatta in due anni».
Ragnolini ha spiegato: «Qui da noi abbiamo fatto una campagna radiofonica per cercare nuovi arbitri, e ora stiamo conducendo un sondaggio tramite l'Università Cattolica. Ma serve anche un cambio di mentalità da parte di tutti: la figura dell'arbitro non va demonizzata». Critiche a certi arbitri da parte di
Sergio Gatti: «Noto carenze nella formazione dei fischietti: spesso ci capita di vedere arbitri in singolo che se ne stanno fermi a metà campo, così poi sbagliano». Ragnolini ha ricordato che «gli arbitri hanno regole precise da rispettare, ad esempio quella di arrivare un'ora prima della partita».
Così le proposte di
Franz Pinotti & C. per migliorare la qualità arbitrale: «Usare di più il videotape per correggere gli errori; creare uniformità di metro, ad esempio tramite riunioni».
Giovanili e autonomie locali – Emerge un’esigenza di
semplificazione del quadro delle categorie, giudicato attualmente “ipertrofico”: «Siamo d’accordo sul mantenimento dell’U19, perché coincide con la fine della scuola superiore - ha detto
Franz Pinotti - ma per il resto preferiremmo U16, U14 e U13, togliendo quindi almeno una fascia, per non sovraccaricare le stesse giocatrici che giostrano su più categorie. In sostanza chiediamo di rientrare, a parte l’U19, nelle categorie standard della Fiba, come nel resto d’Europa».
Angela Albini ha spiegato: «A questo numero di categorie si è arrivati, come spesso succede, a suon di compromessi: la U13 era stata già abolita, ma poi molte società hanno chiesto di ripristinarla perché non volevano far giocare sottoetà certe atlete». Secondo
Enrico Ragnolini, «si può rientrare nelle categorie Fiba nel prossimo futuro». Riallacciandosi a uno degli stimoli lanciati dal Pinotti iberico, il massimo dirigente lombardo ha poi detto: «L’
autonomia regionale può essere una buona idea: in alcune regioni ci sono i numeri per attuare più categorie, in altre meno. Le regole possono essere rese flessibili in modo da adattarsi alle esigenze locali».
Albini ha sottolineato: «In un certo modo, le autonomie regionali esistono già: nelle nostre DOA c’è scritto che il presidente regionale può attuare deroghe».
Sul tema delle
deroghe ha mosso una critica
Fabio Napoleone, dirigente del Sanga con un fresco passato nell’organigramma dell’Olimpia Milano: «L’anno scorso nelle DOA si autorizzava le società a tesserare un maltese: un chiaro favore alla Benetton che aveva il 2,23 maltese Deguara».
Ragnolini ha ribattuto: «In quel caso il presidente Maifredi ha usato il buon senso. Le deroghe sono sempre un’arma a doppio taglio. Noi cerchiamo sempre di capire com’è la situazione per prendere la decisione migliore, ma tutto è affidato, in ultima istanza, alle persone, che possono anche sbagliare».
Da segnalare infine, nelle richieste del documento in tema di giovanili, anche finali nazionali a 16 squadre per le U19.
Formazione - «Vorremmo che diventare allenatore costi di meno e sia logisticamente meno impegnativo: altrimenti la selezione rischia di farla la disponibilità di tempo e denaro anziché la qualità. Il sistema dei clinic a punti non funziona: piuttosto è meglio il tirocinio»: questa la posizione dei “rivoluzionari” lombardi sintetizzata da
Franz Pinotti. Subito prima della tavola rotonda, si era svolta una lezione di Aldo Corno sul tema dell’1 contro 1, purtroppo con una presenza di allenatori molto inferiore a quanto avrebbe meritato. «E’ anche colpa del CNA, che impone distanze di almeno 30 giorni tra un clinic e l’altro: lunedì c’è quello di Guido Saibene a Cernusco, e quindi per questo di Corno non potevamo avere l’ufficialità e i crediti da distribuire. C’è stato anche poco tempo per promuoverlo». Secondo
Ragnolini, «non è stato un problema di promozione, ma di mentalità: dovevano venire tutti gli allenatori della zona, anziché starsene a casa».
Paolo Gavazzi, ex allenatore di Cantù femminile, attualmente nelle giovanili maschili ad Arcore, ha puntato il dito sui difetti dell’attuale sistema di clinic: «E’ assurdo che allenatori di provate capacità ed esperienza siano costretti a passare ore a seguire esercizietti da minibasket, che andrebbero bene per i coach alle prime armi, non certo per loro. E lascio perdere il fatto che il nostro capo, Recalcati, l’ultima volta, a mezzogiorno ci ha piantati in asso perché aveva un impegno».
Le provocazioni di Fassina - Verso la fine,
Stefano Fassina ha lanciato una serie di domande/provocazioni/lamentele rivolgendosi in particolare a Ragnolini: «1) Perché per i
campionati femminili Open viene mandato sempre un solo arbitro (mentre nel maschile c'è il doppio) e lo si prende dal gruppo più in basso?; 2) La Federazione non fa niente per promuovere il basket nelle scuole: perché non si accorpa il settore marketing federale con quello
scolastico?; 3) Ci vuole una
programmazione televisiva per i ragazzini sul nostro sport: ad esempio Lucchetta, l'ex pallavolista, ha un progetto di cartone animato sul basket: perché la Fip non lo aiuta a realizzarlo?; 4) Non è che il problema di fondo è che si punta solo a dare una poltrona a tutti? Perché i
rappresentanti degli atleti e degli allenatori sono tutti degli ex, cioè gente che non gioca o allena da anni?».
Non era facile per
Ragnolini uscire indenne da questa gragnuola, ma ci ha provato: «Al marketing federale certamente va dato impulso: a oggi abbiamo solo due addetti. Nel settore scolastico c'è il problema del conflitto di competenze col Ministero della Pubblica istruzione, e inoltre la difficoltà di rapporti con i dirigenti scolastici, che si fa molta fatica a coinvolgere: qui a Milano, vista la penuria di impianti, stiamo cercando di utilizzare le palestre scolastiche, ma spesso i presidi si oppongono. Per me ci vorrebbe un responsabile diverso per il giovanile, per il minibasket e per lo scolastico». Più difficile per il massimo dirigente lombardo trovare una spiegazione convincente sugli arbitraggi nelle femminili Open: «E' un po' una questione di carenza di arbitri, ma anche di minore fisicità del gioco delle donne rispetto al maschile». Fassina non poteva essere d'accordo, e infatti ha contestato quest'ultimo rilievo di Ragnolini. Che però ha precisato: «Certo non va bene se vengono mandati gli arbitri peggiori. Vigileremo».
Sulla quarta "stoccata" di Fassina, avrebbe potuto sentirsi chiamato in causa il lì presente
Gilberto Valsecchi, fino a poco tempo fa rappresentante degli atleti nel Consiglio nazionale Fip sebbene i suoi trascorsi agonistici risalgano a svariati decenni or sono... Ma Valsecchi non ha raccolto la provocazione.
College Italia? - E' intervenuta, invece, la madre di
Ashley Ravelli, presente alla serata con la figlia, uno dei migliori prospetti lombardi dell'annata '93 (gioca a Vittuone tra U17 e B1). La signora, americana, ha rivolto un appello accorato: «Qual è la proposta, nell'immediato, da parte della Federazione, per una giovane che vuole provare a diventare un'atleta di alto livello? Riuscirete a far partire finalmente quel College Italia di cui si parla da anni? Io sarei disposta a mandare mia figlia dovunque, e così altre madri che conosco. Ma si farà qualcosa?». Essendo ormai prossima la fine della serata, non c'è stato purtroppo tempo di approfondire la questione come avrebbe meritato: la signora Ravelli ha avuto una risposta possibilista, del progetto si parla, ma è difficile al momento capire quando potrà essere varato.
Conclusioni - «Sento la responsabilità di rappresentare la regione più importante d’Italia, ma cosa posso fare per cambiare a 360 gradi una cultura radicata? Non abbiamo il bottoncino di resettaggio. Dovremo far passare in Consiglio federale alcune proposte realmente fattibili. Togliere lo svincolo, creare la Superlega... sono tutte cose che richiederebbero un cambiamento radicale di mentalità. Una riforma non può essere estemporanea, deve avere lunga durata e ampio respiro, altrimenti si finisce per cambiare ogni anno», ha sintetizzato
Ragnolini. «Quello che serve adesso è guardare avanti in modo propositivo, con l'obiettivo di fare dei passi graduali. Io aspetto volentieri il documento che consegnerete a Meneghin, e mi impegno a fare in modo che alcune proposte vengano attuate, ma bisogna sempre tener conto delle esigenze di tutte le controparti: recentemente Meneghin è stato criticato dai club della Lega A maschile per aver detto che l’atleta deve essere al centro di tutto il sistema. Gli hanno ribattuto, in particolare Sabatini (il patron della Virtus Bologna, ndr), che al centro ci sta chi mette i soldi».
Franz Pinotti ha apprezzato la promessa di Ragnolini, ma con riserva: «Vorremmo che i politici fossero meno... politici e più concreti. E alla Federazione chiediamo di non fare il mestiere dei Sabatini e della Lega. Non limitiamoci ad ascoltare estasiati i successi degli altri Paesi, mettiamoci anche noi a fare qualcosa adesso. Bisogna avere il coraggio delle idee».
Ragnolini ha ribadito, a mo’ di ultima parola: «D'accordo, ma le idee devono essere condivise da tutti».