Chi intende sondare il mistero che circonda i BB, scopre in breve che tale mistero esiste solo nella menzogna dei confusionisti interessati: al riguardo, decine di testimonianze, analisi ed articoli, sono da tempo disponibili su Internet, riviste, libri.
La rivista belga Alternative Libertaire illustrava, ad esempio, già nell’ottobre 2000, come sul tema circolassero equivoci e falsificazioni in quantità. Recentemente, il Circolo Freccia Nera di Bergamo (CP 15, 24040 Bonate Sotto, BG) ha pubblicato un’interessante antologia di materiali in gran parte pescati sui siti infoshop.org, ainfos.ca, indymedia, ecn.org, radiogap e tactitalmedia.
Innanzi tutto è sbagliato dire Black Bloc, si dovrebbe dire Black Blocs, al plurale, perché non è mai esistito un singolo gruppo con questa etichetta, bensì una vasta costellazione di persone, organizzazioni e collettivi genericamente appartenenti all’area libertaria e che rivendicano una pratica radicale.
Quindi non si è del Black Bloc, ma si fa un Black Bloc. E infatti sono proprio le azioni, che si distinguono sempre per l’alto grado di combattività, fluidità e solidarietà, a rendere i BB visibili e singolari. L’uso di maschere e passamontagna vale a mantenerli anonimi, proteggendoli dalla repressione. «Non è romanticismo», spiega un loro documento, «il Grande Fratello ci osserva!». Dopo Genova, l’indagine giudiziaria sui tatuaggi visibili nei filmati, per incriminare qualcuno fra gli arrestati, indica che la precauzione non è affatto superflua.
La loro prima apparizione pubblica risale a una decina di anni fa, negli Stati Uniti, quando centinaia di individui mascherati si scontrarono con la polizia in occasione delle manifestazioni contro la guerra del Golfo. Presenti alla marcia "Millions for Mumia" dell'aprile 1999 a Filadelfia, conquistarono l’attenzione internazionale a Seattle (30 novembre/2 dicembre 1999), dove, fra l’altro, misero a segno delle azioni spettacolari contro compagnie multinazionali già da tempo oggetto di boicottaggio, come McDonald's e Nike, banche, supermercati e negozi di lusso. Già allora, alcuni dirigenti di Ong (in quel caso Global Exchange e Public Citizen) organizzarono una catena umana per proteggere tali negozi, arrivando al punto di invocare l’intervento della polizia contro gli «anarchici distruttori», esattamente come poi successe a Genova,
Altri denunciarono le solite infiltrazioni. I BB furono tuttavia difesi da alcuni conosciuti ricercatori universitari del gruppo WIN: «non emarginiamo questo movimento», diceva un loro documento diffuso si internet il 2 dicembre 1999.
Poi, il 16 e 17 aprile 2000, migliaia di persone manifestarono a Washington, contro una riunione della Banca Mondiale e del FMI. Qui un BB di circa 1000 persone adottò una nuova tattica: invece di attaccare la proprietà concentrò i propri sforzi sulla polizia forzando sbarramenti, facendola arretrare, e riuscendo a liberare alcune persone arrestate (un obiettivo meritevole della massima cura, forse trascurato troppo nelle giornate di Genova).
Seguirono altre apparizioni nel corso delle Convenzioni del Partito Repubblicano a Filadelfia (1/2 agosto 2000), e di quello Democratico a Los Angeles (14/17 agosto). In quest’occasione i BB furono anche protagonisti di interessanti manifestazioni tra cui un esperimento di teatro di strada chiamato gioiosamente clown bloc. Un’altra volta, per irridere quei giornalisti che li avevano definiti trash (spazzatura), assunto il controllo di un’area urbana mediante l’erezione di barricate, organizzarono precisamente la raccolta della spazzatura…
Secondo numerose testimonianze, i BB cercarono, in tutte queste circostanze, di rispettare quanto più possibile la volontà dei manifestanti pacifici, e di agire anzi come scudo protettivo tra il grosso della manifestazione e la polizia.
In Europa la pratica dei BB trovava un antecedente, e probabilmente le sue radici originarie, nei gruppi autonomi tedeschi degli anni settanta e ottanta: dopo Seattle, allorché il movimento traversò l’Atlantico, si produsse un inevitabile effetto di reciproca contaminazione. Da quel momento, in tutto il mondo (a Praga, a Melbourne, a Londra, a Nizza, a Quebec, a Davos e a Goteborg), le proteste furono fortemente influenzate dalle tattiche dei BB americani.
In particolare a Quebec City, non solo i BB, demonizzati appena due anni prima a Seattle, ricevettero l’applauso della popolazione locale mentre attraversavano l’Esplanade des Ameriques Françaises, ma tutti i manifestanti presero spunto dalle loro tecniche, nell’assalto al muro della vergogna - un piccolo assaggio di ciò che si sarebbe visto a Genova – che fu poi distrutto in più punti e assediato per l’intera giornata.
A Goteborg, durante le manifestazioni di giugno, un BB di alcune centinaia di persone sfilò dietro un grande striscione che diceva Smash Capitalism. Particolare importante: anche in quest’occasione, il BB, si impegnò a rispettare le manifestazioni pacifiche.
Ciò fu reso possibile da precisi accordi fra le varie componenti del movimento, accordi che però non sempre sono realizzabili, conducendo fin da Praga (settembre 2000) alla creazione di tre distinti spezzoni, rosa (limitato alla nonviolenza rigorosa), giallo (limitato alla disubbidienza, escludendo atti offensivi), blu (senza autolimitazioni).
Giudicando la soluzione di Praga insoddisfacente, il Genoa Social Forum (GSF) – l’alleanza che si fece carico dell’organizzazione delle manifestazioni - scelse di introdurre le cosiddette piazze tematiche (Manin, Verdi, Dante, Paolo da Novi), ciascuna delle quali gestita con criteri indipendenti da diversi spezzoni del movimento. L’intento comune doveva essere quello di assediare, ed eventualmente violare, la zona rossa seguendo tattiche rigorosamente nonviolente.
Tuttavia, in un documento copiato di sana pianta dagli scritti zapatisti (senza nemmeno citarli), dei membri del GSF, le Tute Bianche, diffusero, il 20 luglio, un’incredibile dichiarazione di guerra che aveva fra gli altri destinatari il governo italiano e l’ambasciata americana seminando la confusione e introducendo una nota di ipocrisia nelle ripetute affermazioni di adesione al pacifismo.
Poiché la meta era raggiungere il traguardo mediatico di mille associazioni partecipanti, il GSF, oltre a contabilizzare ogni singola sezione di partito e di movimento, incluse anche le organizzazioni raggruppate nel Network per i Diritti Globali - ovvero i sindacati di base, Cobas, e molti Centri Sociali – le quali, se erano disposte ad agire pacificamente, non si opponevano però ad altre linee di condotta.
A ciò bisogna aggiungere che, mentre il GSF poteva trattare con il governo per garantire l’agibilità delle piazze, i BB, nemici coerenti della delega e della gerarchia, non disponevano di incaricati da spedire ai tavoli di spartizione della visibilità mediatica.
Come notava, con impressionante candore, una Tuta Bianca bolognese (lista ecn.org): «peccato che il Black Bloc, per sua stessa scelta ideologica, non abbia capi, né leader carismatici, né portavoce, e agisca esclusivamente per piccoli gruppi di affinità autorganizzati. Lorsignori sono anarchici duri e puri e provano schifo davanti a qualsivoglia figura anche solo lontanamente gerarchica».
Il risultato di tutto ciò fu che nonviolenti e BB agirono senza coordinarsi, esponendosi, tutti indistintamente, alla furia della polizia. E ancor di più che i BB, i quali facevano parte del movimento fin dal principio (in verità c’erano prima di molti membri del GSF), vennero consegnati al riflettore malevolo delle televisioni, dei poliziotti e dei calunniatori come provocatori e violenti sbucati dal nulla.
Eppure nei loro documenti – da anni disponibili in rete - non vi è traccia di una retorica della violenza; vi si trovano, al contrario, riflessioni serene e niente affatto banali sulle varie tattiche di protesta urbana e riferimenti teorici condivisi da altri, quali le Temporary Autonomous Zone (TAZ) di Hakim Bey, la critica radicale del lavoro di Bob Black, l’ecologismo municipalista di Murray Bookchin o l’anticapitalismo primitivista di John Zerzan. I BB si limitano inoltre a realizzare azioni simboliche contro le cose e non contro le persone.
No, questa non è violenza da stadio e neppure disagio esistenziale, come vorrebbe Rossanda Rossanda (Il Manifesto, 6 agosto). È una modalità di protesta criticabile finché si vuole, e qualche volta anche controproducente, ma non irrazionale né illegittima. Inoltre, nonostante le calunnie di cui continuano ad essere oggetto, al movimento contro la globalizzazione i BB hanno apportato energia, coraggio, intelligenza tattica, e una pratica antiautoritaria.
A Genova, mentre i ricercatori indefessi della visibilità televisiva lanciavano le loro farneticanti dichiarazioni di guerra e annunciavano di marciare sulla zona rossa senza esserne capaci, essi se ne allontanavano in silenzio per agire fuori portata delle forze repressive. In realtà, ciò che non si perdona loro è di avere demolito, insieme con le vetrine, anche le menzogne dei politicanti.
Travolti dagli avvenimenti, nelle ore successive alla morte di Carlo Giuliani, alcuni leader del GSF fecero circolare la voce (subito ripresa dai media) che i BB erano degli «anarchici».
E tuttavia, solo con enorme mala fede si possono identificare i Black Blocs con gli anarchici (o, a maggior ragione, con punk ed animalisti come si è tentato di fare). Un BB può essere anarchico, ma non necessariamente un anarchico condividerà le azioni dei BB. Anzi, una buona parte del movimento anarchico, non solo in Italia, ma nel mondo intero, è su posizioni rigorosamente pacifiste. Tanto è vero che, presi da uno zelo senza dubbio eccessivo, subito dopo i fatti di Genova, alcuni anarchici emisero un duro comunicato contro i BB.
Francesco Berardi, l’inaffondabile Bifo della Bologna ribelle del 1977, li definì «centinaia di psicopatici vestiti di nero che il Ministro degli Interni ha infiltrato, aizzato e utilizzato contro il movimento» e Alfio Nicotra, rappresentante del Partito della Rifondazione Comunista nel GSF, ammise di aver denunciato alla polizia, fin dal 17 luglio (prima di qualsiasi violenza, dunque) la presenza di autobus carichi di sospetti (Corriere della Sera, 29 luglio). Luca Casarini (Tute Bianche) e Vittorio Agnoletto (GSF) non furono da meno: «abbiamo le prove».
«Siete contenti di aver provocato la brutalità poliziesca? Siete contenti di avere infine un martire?» ruggì Susan George, vicepresidentessa di Attac (Association pour une Taxation des Transactions financières pou l’Aide aux Citoyens). Bernard Cassen, presidente della stessa organizzazione e inoltre direttore generale di Le Monde Diplomatique, rincarò la dose: «la complicità della polizia italiana con il Black Bloc è evidente». Il tutto in un paginone dal titolo suggestivo: Los tentáculos del terrorismo internacional dove insinuava anche l’esistenza di un Internazionale nera dei servizi segreti della quale i BB sarebbero il pezzo forte (El País, 29 luglio 01).
In perfetta consonanza, Karl Schwab, fondatore ed organizzatore del famoso World Economic Forum di Davos, dopo aver intessuto l’elogio dei manifestanti pacifici «i quali possono influenzare positivamente il mondo degli affari e i governi» aggiungeva che «purtroppo tutto ciò viene sistematicamente sabotato dalle azioni di una piccola minoranza il cui unico obiettivo è la violenza» (Liberation, 30 luglio).
Ora, è evidente che la polizia fa il suo lavoro, cercando di ottenere il massimo di informazione sui meccanismi interni dei movimenti di protesta, e di seminare nel contempo il massimo di disinformazione. Da sempre, l’infiltrazione è uno dei metodi più usati per controllare o manipolare; però, chi può dirsene immune?
A Genova è stata denunciata la presenza di infiltrati non solo tra i BB, ma anche tra le Tute Bianche (Il Secolo XIX, 1 settembre). Nulla prova che i primi siano più esposti di altri a questo pericolo: semmai, il loro strumento organizzativo, il gruppo d’affinità – fondato su una conoscenza approfondita fra tutti i partecipanti – appare il meglio indicato a contrastare infiltrazioni e strumentalizzazioni.
La colossale operazione di polizia montata prima degli scontri fa pensare ad un esperimento di low intensity war in versione metropolitana. È chiaro che il governo cercava la violenza con o senza BB. L’operazione attirò, probabilmente, anche la curiosità di un gran numero di agenti segreti, stranieri e nostrani, con l’idea, magari, di influenzare gli avvenimenti in base ai rispettivi interessi nazionali. Ma queste sono solo speculazioni.
Ciò che di sicuro accadde, è che, fin dal tardo pomeriggio di venerdì, la presenza degli infiltrati fu denunciata dalla loro stessa goffaggine, riferita dai giornalisti, filmata dagli operatori, smentita senza convinzione dai questurini.
Nei giorni successivi, gli stessi BB misero in chiaro che polizia e carabinieri, vestiti di nero e con passamontagna, avevano costituito squadre di casseur. Gli infiltrati c’erano dunque, ed erano lì soprattutto per diffondere la sensazione paralizzante che la polizia è ovunque, che non esiste via d'uscita; e per indurre ciascuno a diffidare del proprio compagno appena conosciuto, e a confidare, invece, nei partiti, nelle bandiere, nei leader che tutti credono di conoscere davvero, giacché appaiono continuamente alla televisione.
La presenza di questi intrusi, per quanto provata, non spiega tuttavia la portata degli scontri di Genova. Secondo numerose testimonianze, delle circa 300.000 persone presenti, almeno 30.000 parteciparono ad atti violenti, e molte di più cercarono di agevolarli in tutti i modi, individualmente oppure organizzati come Pink Blocs (ad esempio, gli americani di Tactical Frivolity), presenti nel movimento fin da Seattle, i quali non impiegano in prima persona la violenza, ma si impegnano a favorirla tatticamente.
Di tutti costoro, solo una minoranza, senz’altro inferiore al 10 per cento, poteva definirsi BB: gli altri erano individui che, in quella situazione, condivisero e magari anticiparono il loro cammino. Non pochi erano Tute Bianche, o aderenti ad organizzazioni nonviolente, sfuggiti al controllo dei loro dirigenti. Altri ancora erano genovesi indignati che presero parte attiva negli scontri oppure manifestarono la loro simpatia offrendo acqua e riparo ai manifestanti.
E a ben guardare tutto ciò non è poi così strano: invece del consueto effetto paralizzante, l’arroganza dei governanti, ebbe per una volta l’effetto di causare un’esplosione di collera generalizzata che sfociò nella rivolta sociale più violenta degli ultimi 40 anni.
Di fronte a ciò, alcuni ritennero di difendere i «veri» BB che non sarebbero andati a Genova, dai provocatori che agirono al loro posto. Altri ancora ammisero che i «veri» BB c’erano ma li accusarono di non avere riflettuto sulle conseguenze dei propri atti, di essersi sottratti al confronto con gli altri appartenenti al movimento, di essersi rivelati, in sostanza, degli irresponsabili (si veda Liberazione, 8 e 10 agosto, e il sito internet di Rifondazione Comunista, Reds).
Roberto Bui, ideatore di Luther Blissett, aspirante nuovo leader delle Tute Bianche, scrisse in rete che, «nel momento in cui le pratiche del BB sono state usate contro di noi, dobbiamo dire con forza che queste persone sono politicamente morte. E se avessero un minimo di intelligenza dovrebbero essere i primi a fare l’esame di coscienza e suicidare un’esperienza che si è, di fatto, conclusa a Genova» (23 luglio,
[email protected]).
Qui, come osservò Oreste Scalzone, bisognerebbe chiedere agli pseudostrateghi della disobbedienza civile se è forse più responsabile dichiarare guerra all’ «impero», gridare ai quattro venti «sfonderemo la zona rossa», usare un linguaggio aggressivo per poi dire, a quelli che a sfondare ci vanno con le pietre, oppure fanno riots, che sono dei rozzi o degli infiltrati. Ed infine gestire tutti insieme la morte di Carlo Giuliani. Da vivo, col suo estintore in mano, Carlo chi era ? A chi disobbediva?